Nel corso di diversi scambi di opinione, ci si chiede spesso se di fronte allo sfascio sociale che si constata ogni giorno nei comportamenti individuali, soprattutto delle nuove generazioni, non sia stato un errore abolire il servizio militare obbligatorio dal momento che aiutava a fissare alcuni paletti educativi.
Alcuni, a proposito dei giovani, dopo 2500 anni, si ritrovano sulla stessa lunghezza d’onda del padre del pensiero occidentale, il vecchio Platone: «Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della libertà, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia».
Va da sé che il servizio militare obbligatorio, inteso come una corvée civica da rendere al proprio Paese, da solo non basta a modificare lo stato delle cose nella percezione dei giovani, se non vi concorrono anche agenzie educative in specie la scuola e valori come quello della cultura.
Ma già qui casca il proverbiale asino perché ci muoviamo in un universo, quello scolastico, che non vede un’assennata riforma organica dal 1923: tutte quelle che fin qui l’hanno interessata hanno principalmente badato a rompere con il passato senza sapere, però, riuscire ad intravedere il futuro.
Giusto per ricordarne una, si pensi al ritardo con il quale si sono informatizzate le diverse dinamiche della scuola italiana rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea. Tra l’altro, tutti i provvedimenti legislativi fin qui adottati dalla scuola per eliminare un ordinamento oggettivamente troppo centralistico, ne hanno distrutto anche il senso della gerarchia, con quali riflessi negativi sul senso del dovere e della disciplina dei discenti è facile immaginare.
Purtroppo, nonostante la retorica autocelebrativa dei nostri Stati Maggiori, è al collasso anche quella che fino alla metà del Novecento era ritenuta la scuola della nazione: la forza armata. La ragione di ciò non è da ricercarsi tanto nella cronica e pur grave mancanza di fondi, che già di per sé incide parecchio sull’operatività del nostro dispositivo di difesa, quanto nella pochezza della classe dirigente e politica. E non soltanto quella senza stellette…
Nel 2009 le nostre Forze Armate già rischiavano di scomparire come complesso operativo anche per mancanza di soldi e, tuttavia, l’allora ministro della difesa, Ignazio La Russa, andò a inventarsi la mini-naja: un periodo di quindici giorni durante i quali alcune centinaia di ragazzi avrebbero finto di essere soldati, fruendo perciò di vestiario, di vitto, di alloggio, di paga giornaliera. E dopo questa scampagnata in tuta mimetica se ne sarebbero ritornati a casa, al loro quotidiano combattimento sui social.
Ebbene, quanto fosse demagogica la trovata della mini-naja, senza un “orientamento” del budget e senza che a monte vi fosse un progetto organico di bipartizione dell’impiego delle Forze Armate, ce lo spiegò indirettamente lo stesso La Russa l’anno dopo, nel corso di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 10 agosto del 2010, che vi evitiamo per cristiana carità. Diciamo soltanto che, in quella circostanza, il ministro rivelò alla stampa che le autoblindo operanti in Afghanistan reperivano i pezzi di ricambio «cannibalizzando» quelle fuori uso, senza rendersi conto che così stava inseguendo la stessa logica del suo mito di gioventù, Benito Mussolini, il quale non dormiva la notte se non poteva ficcarci in qualche guerra: non importava se eravamo senza neppure i pezzi di ricambio, l’importante era esserci in Afghanistan. Salvo che poi riportammo indietro 53 dei nostri uomini rinchiusi in una bara.
In questi mesi Salvini ha espresso l’intenzione di ripristinare tout court il servizio militare di leva obbligatorio, intenzione subito contrastata dal ministro della difesa che l’ha definita «… un’idea romantica ma inapplicabile». Sia detto senza offesa, l’attuale reggitore del dicastero difesa, la signora Elisabetta Trenta, con la sua stroncatura non ha affatto dimostrato che la proposta del segretario della Lega è inapplicabile ma, semmai che, come lui, non sa neppure di cosa va parlando: il modello binario leva/volontari, nelle nostre Forze Armate esiste già! Infatti, oggi i coscritti sono stati sostituiti da giovani che – unica differenza con i militari di leva di ieri – decidono autonomamente di rendere un anno di servizio nelle forze armate in qualità d VFP1 e, eventualmente, tentare di accedere alla carriera militare: lo scopo non dichiarato della loro creazione, in realtà, fu quello di inventarsi un ruolo che sopperisse surrettiziamente alla mancanza della leva e salvasse così la faccia dei “riformatori”.
Peraltro, la legge numero 226 del 23 agosto del 2004 non ha eliminato il servizio militare di leva ma l’ha soltanto “sospeso”, ragion per cui non è così fuori dal mondo un modello di difesa eventualmente imperniato su due componenti, ossia una logistica affidata alla leva e un’altra operativa assolta dai militari di carriera. In questo modo troverebbero utile impiego nella preparazione dei reparti di leva anche coloro che oggi sono in sovrannumero, addirittura in numero maggiore dei loro sottoposti, ovvero i Quadri Ufficiali e Sottufficiali.
E ritorniamo alla domanda dalla quale siamo partiti: la leva può aiutare a fermare lo sfascio sociale e può aiutare a fissare alcuni paletti educativi? La nostra risposta è affermativa, perché un giovane per sopravvivere un anno in un reparto militare deve accettarne regole e doveri, come l’amor di Patria, il rispetto per la gerarchia e per la legittima autorità, il senso dell’ordine e della puntualità, il rispetto per i commilitoni che marciano al suo fianco e che, all’occorrenza, sarebbero disposti a farsi fare a pezzi per lui come lui per loro… andando a costituire il primo stadio di quella “congrega virtuosa” che siamo soliti chiamare comunità nazionale.
Gli stessi valori insegnati nella scuola produrrebbero i medesimi effetti sui giovani anziché “regalarne” una cospicua parte a Casa Pound.
Sia chiaro che il servizio militare non faceva diventare più intelligenti chi vi arrivava cretino (regola aurea questa valida per tutti i militari) ma, ed è storicamente dimostrato, restituiva alle famiglie e alla società civile giovani che avevano dovuto imparare sulla loro pelle il significato del vivere in comune e con democratico ordine.
Peraltro sono poco credibili coloro che blaterano di servizio militare senza conoscere niente dell’ordinamento militare, che aiutano il propagarsi di quel clima d’impunità che sta infracidendo la percezione di regole e doveri, che si coprono dietro una giustizia che non vogliono o non sanno amministrare, che criminalizzano i giovani senza conoscerli a fondo, che citano spesso e a sproposito un’entità che, in diverso modo e con diversi mezzi, tutti loro vilipendono di continuo: la Patria. Il concetto di Patria, infatti, è l’unico capace d’ispirare civilmente ogni popolo libero della terra, di qualsiasi contesto sovrannazionale faccia parte, a patto che abbia dei “sacerdoti” credibili.
Non dobbiamo avere paura di pronunziare il nome di Patria soltanto perché il fascismo ne fece un pessimo uso, o perché un paese impazzito si è scientemente posto sulla china del disfacimento ideale, morale e identitario, tirandosi appresso un’armata di giovani demotivati, comparse di un presente tumultuoso e vittime predestinate di un futuro che si preannuncia fosco e con poche speranze.
E in un tale scenario, chiunque sia capace di dare una mano a invertire la perversa rotta, sarà il benvenuto. A maggior ragione il servizio militare obbligatorio.
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