In Cina tre volte. La prima nel 1988 per un viaggio di tipo istituzionale. La seconda due anni fa sulla Via della seta e la terza appena conclusa per turismo e personale cultura. Mai vado su spiagge lontane ma viaggiare, se e quando si può, è come vivere due volte, rammentava la nostra bravissima guida italiana citando Sant’Agostino.
Il 1988 era un anno speciale. In Europa si preparava la caduta del muro di Berlino che avrebbe cambiato la Germania e avuto effetti su tutta l’Europa, particolarmente sull’Italia. In Cina, in soffitta i terribili eccessi della rivoluzione culturale di Mao (1966-1976), si gettavano le basi del nuovo corso che avrebbe radicalmente trasformato il più grande Paese del mondo con 1,3 miliardi di persone.
Del primo viaggio, tra le tante immagini che porto con me, ricordo Piazza Tienanmen affollata di cinesi in fila per entrare nel Mausoleo di Mao e quella del gerarca comunista che ci accompagnava davanti al quale le folle si aprivano sui due lati e le porte si spalancavano grazie ad un potere esibito con smisurata arroganza.
Della Via della seta sottolineo le bellezze naturalistiche ma soprattutto le città a maggioranza musulmana di Kashgar e Turpan oggetto di una spietata repressione e duramente militarizzate. Luoghi nei quali non esisteva Wifi e nelle strade il presidente Xi Jinping sorrideva dai grandi cartelloni esposti ogni cinquanta metri per rammentare a tutti che vi era solo una libertà, quella di ubbidire al regime di Pechino.
Dell’ultimo viaggio mi resteranno impressi i siti storici dell’ultra millenaria civiltà cinese dei quali la Città proibita di Pechino, la Grande Muraglia e i fasti dell’antica Xi’An (capitale dell’impero per più di mille anni) sono esempi di straordinaria suggestione. Ma soprattutto conserverò nella memoria l’esplosiva energia di Shanghai con il suo capitalismo atipico e l’inimmaginabile sviluppo degli ultimi 25 anni.
Mi sono preso molto tempo per me stesso, sfilandomi dal gruppo che andava compatto a vedere i siti dell’antichità, per visitare l’imperdibile Esposizione del planning urbanistico della città e per girare da solo fra la gente, cosa che facevo anche tutte le sere. Certo, il “treno proiettile”, a levitazione magnetica, che porta all’aeroporto di Shangai è avveniristico e unico al mondo ma molto sorprendenti sono anche le metropolitane strabocchevoli eppure scorrevoli, le sopraelevate riservate ai pedoni, l’ordine urbano malgrado l’enorme traffico sulle strade stracolme.
A Shanghai ho avuto la fortuna d’incontrare qualche giovane voglioso di scambiare delle parole in inglese, una lingua pressoché sconosciuta perfino negli hotel con l’eccezione delle reception ma nemmeno di tutti gli addetti delle reception. Non l’avrei mai detto pensando al ruolo internazionale della Cina e mi sovviene una particolare memoria del viaggio del 1988.
In quell’occasione le nostre ufficiali guide cinesi ci avevano accompagnato in diverse scuole elementari di Shanghai, Pechino e Nanchino mostrando con orgoglio delle classi dove si insegnava l’inglese quale seconda lingua. “Non il russo – ci ripetevano – come voi occidentali pensate, ma l’inglese sarà la nostra seconda lingua”: in tutta evidenza una boutade propagandistica.
Ovviamente la mia opinione della Cina deriva soprattutto dalle letture di libri e servizi giornalistici. Tuttavia da questa esperienza esce ribadita una domanda su quanto possa resistere questo mix fra libertà economiche e illibertà civili e politiche. La risposta potrà essere data solo dalle future generazioni ed è bene che sia così perché le ultime cose di cui abbiamo oggi bisogno sono il conflitto interno e l’instabilità della Cina.
Amara considerazione finale: Di Maio al momento della firma per il piccolo accordo Italo-cinese sulla cosiddetta Via della seta ha dichiarato che è nel nostro interesse “aprire ad un Paese emergente quale la Cina”. Paese emergente? Mamma mia!
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