Ma per 40 anni come hanno votato i varesini alle elezioni europee?
La domanda, nell’era dei twitter, può sembrare inutile e, in effetti, lo è se si pensa che l’attenzione generale dura poco più di un attimo, il tempo di stabilire chi ha vinto e chi ha perso.
Però a 40 anni dalle prime elezioni Europee, almeno un ricordo dell’anniversario, delle ragioni e delle aspettative che quell’evento aveva suscitato c’era da aspettarselo. Niente.
Eppure oggi più che mai è necessario riflettere sulle tappe del lungo e travagliato percorso di integrazione europea, avviato dopo la disastrosa seconda guerra mondiale. Non certo per farne delle celebrazioni retoriche, ma per cogliere l’essenza di un processo tutt’altro che lineare e dal futuro molto incerto. Lo stesso esito delle elezioni di maggio suggerirebbe di non perdere altro tempo. Perché se è pur vero che il temuto assalto dei “sovranisti” non è riuscito, i problemi che minano la stabilità e il futuro della Unione restano tutti drammaticamente aperti.
Lo scopo di questo articolo è però più limitato ed è riassunto nella domanda iniziale. Come hanno votato i varesini ogni cinque anni e per otto volte consecutive?
Il 10 giugno 1979, data della prima consultazione europea, il voto giunge al termine di un decennio segnato dal protagonismo dei movimenti di massa e da grandi conquiste democratiche, sociali e civili, ma anche dall’azione sanguinaria dello stragismo fascista e del terrorismo rosso.
La settimana prima si erano svolte le elezioni politiche anticipate. Elezioni rese necessarie dall’impossibilità di formare una maggioranza anche per l’esaurimento della fase di “solidarietà nazionale” ovvero del tentativo, di costruire nuovi scenari politici e sociali. Tentativo avviato dopo la “grande avanzata” del PCI del 1976 che aveva mutato sostanzialmente gli equilibri politici che avevano consentito alla Democrazia Cristiana di governare ininterrottamente il Paese fin dal 1948. Tentativo definitivamente stroncato con il rapimento e l’uccisione del suo principale protagonista e leader della DC, Aldo Moro.
E’ in questo contesto generale che si svolgono le elezioni politiche e quelle europee, rispettivamente il 3 e il 10 giugno del 1979
Alla prima consultazione partecipa il 94,1% degli elettori varesini, in quella successiva l’88,6% .
A determinare lo scarto significativo del -5,5% contribuisco un po’ tutte le liste.
Ma ecco la distribuzione dei consensi (la prima percentuale riguarda le politiche, la seconda le europee): DC 38,9% ; 34,7%. PCI 21,7% ; 20,4%. PSI 11,3% ; 12,7 %. P. Radicale 6,1% ; 5,7%. MSI 4,9% ; 5,2%. PLI 4,7% ; 9,5%. PRI 4,3% ; 3,8%. PSDI 4,1% ; 5,1%. PDUP 1,6% ; 1,0%. NSU/DP 1,1% 1,0%. ALTRI 0,8% : 0,8%. Di rilievo tra le due consultazioni è il calo della DC – 4,2% e il clamoroso raddoppio del PLI. Per tutti gli altri incrementi e decrementi sono molto minori. Abituati come siamo alle tumultuose variazioni odierne gli scarti di allora possono apparire irrilevanti, ma si era in un quadro di mobilità elettorale molto lenta. Anche se già allora cominciavano a rendersi visibili i primi segnali di crisi dei partiti tradizionali. Vedi l’affermazione del Partito Radicale. Un altro dato da evidenziare è quello relativo ai partiti di governo. La centralità della DC era assicurata, pur tra notevoli contrasti e differenze, dal sostegno di PSI, PLI, PRI, PSDI. Insieme formavano il pentapartito, la coalizione che ha governato l’Italia per circa un trentennio.
Nelle due consultazioni del 1979 il suo peso oscilla tra 63,5% e il 65,8% (circa il 7% in più della media nazionale).
Richiamare in un articolo come è mutato nel tempo il voto dei varesini alle europee è praticamente impossibile. Due però sono i passaggi più significativi. Il primo avviene dieci anni dopo, nel 1989, quando le nuove liste raccolgono oltre il 20% dei voti (di cui l’11,5% della sola Lega lombarda e il 4,4% alla Fed. liste Verdi; l’altro 4% è ripartito tra Verdi arcobaleno, pensionati, antiproibizionisti, federalisti). I partiti maggiori sono ancora Dc 29,9%, PCI 16,9%, PSI 15,5%. Altre liste: PLI e PRI insieme al 6,8%, MSI 5,8% tutte le altre sotto il 4%. Poi nel 1994 con Forza Italia al 30,5% e la Lega Nord al 27,4%. I partiti storici non compaiono più neppure in lista, mentre alcuni “eredi” come PDS e PPI ottengono rispettivamente il 9,4% e il 9,3%. La nuova destra di Alleanza nazionale ottiene il 7,6% dei voti. Per modificare il quadro bisogna attendere il 2004 quando Forza Italia e Lega, scese rispettivamente al 25% e al 17%, vengono superate da Uniti nell’Ulivo che ottiene il 25,9% mentre tutte le altre liste restano sotto il 4%, con l’eccezione di Alleanza Nazionale al 7,4% e Rifondazione Comunista al 4,1%. Rapporto di forze nuovamente rovesciato nel 2009 quando il PDL, Popolo della Libertà e la Lega conquistano rispettivamente il 33,9% e il 23,4%, mentre il PD si attesta sul 19,7%, Italia dei Valori al 7%, Udc 5,9%, altri sotto il 4%. Nel 2014 è il PD a fare la parte del leone raggiungendo la vetta del 41,8%, seguono Forza Italia al 16,3% e Lega al 14,5. La novità è rappresentata dalla comparsa del Movimento cinque stelle che ottiene il 12,7%. NCD-UDC 6,2%, altre liste sotto il 4%. Ed eccoci alla elezioni di maggio 2019 . La partecipazione al voto è ai minimi storici (57,46%). La Lega di Salvini conquista in città il 39,5% dei consensi espressi, mentre il PD perde il 16,5% dei voti precedenti fermandosi al 25,3%; Forza Italia consegue il 9,9 % mentre il M5S scende all’8,4% . Fratelli d’Italia 5,6%, +Europa 4,2%. Tutti gli altri sotto il quattro.
La partecipazione al voto passa dall’88,7% del 1979 all’82,2% del 1989. Poi scivola progressivamente sempre più in basso: 66,1% nel 1999; 63,7% nel 2009; 57,5% nel 2019. Ricordarsi dei votanti è importante se si vuole capire di quanto consenso godono realmente le liste in rapporto agli elettori. Le percentuali da sole non lo chiariscono affatto. Eppure tutti le usano con disinvoltura come se il 40% di cento fosse uguale a quello di 60.
Ma questo aspetto vorrei approfondirlo meglio in un prossimo articolo.
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