Doveva grandinare. E invece è caduta una pioggerellina fine e rinfrescante: quella che rinnova la terra, la rigenera per dar spazio alla nuova erba. Doveva girare il vento, quello del sovranismo, che avrebbe spazzato via l’eccessiva burocrazia, il dominio dei poteri forti, delle banche, delle multinazionali. Il bollore degli animi astiosi è stato vinto dalla serenità dei cittadini d’Europa che sono andati alle urne, convinti di essere protagonisti di un comune destino. Il sentore della vittoria già sicura si è trasformata in un’inettitudine incapace di trovare un posto in un gruppo parlamentare. Sì, è soffiato il vento del sovranismo, rinforzato da qualche voltafaccia dei soliti galli in cerca di un pollaio ove essere sovrani, ma quella pioggerellina ha rinfrescato l’aria e ha sospinto verso la necessità di un cambiamento, ha bordeggiato verso il largo, verso nuovi e più larghi orizzonti.
La grandine dovuta alla “valanga populista”, lo “tsunami nazionalista” il parlamento “che cambia faccia” non ha fatto grandi danni. Le promesse: “Quando saremo a Bruxelles e a Strasburgo cambieremo i Trattati, cambieremo questa Europa…” potranno essere mantenute, con una logica più moderata ed europeista, solo dall’attuale maggioranza formata da popolari (182 deputati), socialisti e democratici (153 deputati), liberali e movimento Macron (Renew Europe – 108 deputati) e Verdi, che hanno registrato clamorosi successi soprattutto in Germania, Francia e Regno Unito, (75 seggi). La vittoria dei sovranisti, nel Parlamento, non c’è quindi stata perché la maggioranza può contare su 518 deputati, mentre i sovranisti arrivano a 178 deputati. I verdi “nordici”, i non iscritti e “altri” possono presentare un pacchetto di 55 seggi.
I cittadini col loro voto hanno rinsaldato l’“Europa dei popoli” dimostrando così che l’Europa comunitaria non è un abominio, mentre lo stato-nazione non può essere all’altezza delle sfide del momento. Infatti, nel 1974, quando si votò per la prima volta per il Parlamento Europeo e i paesi membri erano dieci, l’affluenza alle urne fu del 61.99% di tutti gli aventi diritto. Cinque anni fa, con 28 paesi aderenti, la percentuale dei votanti calò al 42%, quest’anno è salita al 51%: un dato che dimostra che c’è voglia di più Europa, di un progetto duraturo per riaccendere lo spirito europeo.
Di questo spirito europeo, forte e generoso, è dotato Davide Sassoli, eletto alla presidenza dell’Europarlamento. Cattolico democratico, si è formato nelle associazioni giovanili cattoliche e molti si ricordano di lui come un valido giornalista della nostra TV, che sapeva coniugare il rigore della conoscenza dei fatti con la passione della politica e la competenza professionale. Non ebbe una formazione politica in un partito, ma crebbe alla scuola di Aldo Moro e di Vittorio Bachelet.
Nel suo discorso d’insediamento, il nuovo presidente ha invocato il ritorno alle origini: allo “spirito di Ventotene”, allo “slancio pionieristico dei Padri Fondatori”, al “sangue dei giovani britannici sterminati sulle spiagge della Normandia”. Ci ha particolarmente commosso il suo ricordo di Sophie e Hans Scholl, i fondatori dell’organizzazione antinazista “Rosa Bianca”, e il nostro pensiero è corso istantaneamente ad un comune amico, Paolo Giuntella, con cui condividemmo l’impresa degli “angeli del fango” durante l’alluvione di Firenze e che di Sassoli fu guida e amico fedele.
Con queste rievocazioni, il nuovo Presidente ha voluto ricordare a tutti i cittadini d’Europa che se essi non possiedono il senso vitale del passato, l’Europa si spegne: “l’Europa non è un incidente della storia”. E’ il passato che, come una sorgente, alimenta il fiume del presente e lo spinge verso il futuro: i padri europei dell’Europa erano personalità politiche eccezionali, irripetibili o quanto meno irripetute, lungimiranti, non proprio simili ai loro attuali epigoni.
Costoro ancora una volta hanno dimostrato proprio in questi giorni di voler sottomettere il Parlamento al primato dei governi nazionali, una sorta di “unione degli esecutivi” e non “dei popoli”. Decidere le nomine di tre presidenti di istituzioni europee in incontri bilaterali lungo i corridoi di palazzo, tra un boccale di birra e un succo di frutta, piuttosto che con un voto palese espresso tutti assieme attorno ad un tavolo, è stato un oltraggio verso i cittadini europei, i quali hanno il diritto di sapere esplicitamente quali candidai sono stati bocciati o promossi e da quali Paesi e con quali motivazioni.
E’ stato lo stesso Sassoli che, rivolgendosi ai “signori del Consiglio” e ricordando loro in particolare di discutere la riforma del regolamento di Dublino, ha detto:” …non potete continuare a rinviare le decisioni alimentando sfiducia nelle nostre comunità, con i cittadini che continuano a chiedersi, ad ogni emergenza: dov’è l’Europa? Cosa fa l’Europa? …Aiutateci anche voi a essere più coraggiosi per affrontare le sfide del cambiamento”.
Sassoli ha parlato di cambiamento nei regolamenti: che alcuni nuovi paesi abbiano usato i loro piccoli o grandi poteri di veto per bloccare il processo d’integrazione è un elemento molto negativo, il patto di stabilità non ha funzionato, il coordinamento delle politiche economiche è molto blando, la tendenza di alcuni paesi a far dire ai numeri ciò che vogliono è una ciarlataneria. E ha parlato di rilancio del modello di economia sociale che “sappia coniugare crescita, protezione sociale e rispetto dell’ambiente”, di contrasto della povertà, di nuove prospettive per i giovani, di investimenti sostenibili ed altro.
Si direbbe un cambiamento di rotta chiara, senza le insidie dello scoglio rappresentato dai governi nazionali. Questa rotta si chiama unità. Jean Monnet predicava la necessità “di unire gli uomini”, invece di “creare coalizioni tra stati”. Viviamo in tempi in cui si riaccendono i nazionalismi: è un non-senso perché innalzare muri significa anche rendere il dialogo tra i popoli ancora più esangue e sbiadito, il loro incontro formale e inutile, il loro agire rancoroso, scialbo e infruttuoso.
Dalla disperazione della crisi può nascere la speranza, frutto di buona volontà e di comprensione reciproca.
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