L’errore più comune che si fa parlando di storia è esprimere giudizi tranchant riguardo il passato ma sulla base di situazioni di oggi. Tralasciando, per esempio, aspetti importanti: dalle differenze del quadro di acculturazione alle condizioni sociali e di vita.
Solo per fare un esempio (che magari può non cogliere nel segno ma è importante): si continua a citare l’Italia del Rinascimento come l’Italia dei secoli d’oro. Tuttavia, al di là dalle genialità artistiche magistralmente espresse nelle corti e nelle chiese ci si dimentica di ricordare come la vita grama e la morte delle persone, specie le più deboli, avessero scarsa risonanza nelle corti e nelle chiese stesse. Erano eventi ineluttabili e non considerati come fatti da superare o da migliorare o da correggere. A ben leggere e a studiare non vi fu in Italia, da un certo punto di vista ormai unanimemente condivisibile, un periodo di così inaccettabile violenza e disprezzo dell’uomo come quello dell’Italia rinascimentale.
Qualche storico importante – anche oggi – ha detto che la storia non può essere scritta dai protagonisti, altrimenti si tratta di cronaca e spesso parziale, né dai figli di essi e magari nemmeno dai nipoti. Forse dai pronipoti. Non è un limite, naturalmente, ma l’affermazione può avere qualche fondamento.
Una piccola annotazione. S’è registrata una veemente polemica, qualche tempo fa, sollevata dalle Associazioni partigiane e da esponenti della sinistra, a seguito dell’inaugurazione di una piazza a Busto Arsizio dedicata a Vittorio Emanuele II di Savoia, il cosiddetto “re galantuomo”, uno dei protagonisti del Risorgimento nazionale, riguardo la presenza in città per l’evento del pronipote principe Emanuele Filiberto, ultimo erede della dinastia.
La cosa ha fatto discutere politici, amministratori e cittadini comuni con varie prese di posizione, interventi e repliche, ancora più vistosi nell’era comunicativa del web, dato che l’inaugurazione della piazza avveniva nell’anniversario dell’emanazione delle famigerate leggi razziali, emanate da Mussolini e controfirmate dal bisnonno del giovane Savoia. Evento abbastanza imbarazzante. Ma ogni data fatta risalire al più tragico momento della vita del nostro paese ne può portare con sé.
Asserzioni, valutazioni, polemiche più o meno approfondite (parliamo della monarchia sabauda ma non solo: del fascismo e dei suoi provvedimenti…) non si aggiungono spesso come nuovi e rilevanti appunti storici, perché ognuno si è fatto di quei periodi e di quegli eventi disastrosi (molto recenti e ancora controversi) una sua opinione, giustificatissima, che difficilmente può essere scalfita da ragionamenti, e nuove dichiarazioni. E soprattutto non da “revisioni”.
L’intitolazione di vie e piazze a personaggi della storia (di quella più recente ma anche di un molto più lontano passato, interpretata come si diceva all’inizio in condizioni pregiudizievoli) va però sempre presa con beneficio di inventario: ciò vale per tutti. Da piazza Giulio Cesare a via Francesco Crispi; da largo d’Augusto a piazza Garibaldi; insomma: dai re Savoia e Cavour e a Mazzini…
La politica e la storia, di oggi e di ieri, non sono mai un metro obiettivo e unico di valutazione. E spesso cambiano nell’attualità che scorre a seconda dei tempi e dei momenti, e dei regimi.
L’Italia – difesa a spada tratta dai politici odierni – sembra quasi che sia nata unita (più di centocinquant’anni fa, che poi non sono millenni) quasi per partenogenesi, e non con il sacrificio e con gli errori degli uomini. Si corre via su condizioni che ora sembrano minimali ma che, forse, una volta contavano e molto.
Il grado di analfabetismo, per dire. Nel Piemonte e nella Liguria dei Savoia era di circa il cinquanta per cento; nel Sud di Franceschiello il doppio. Saranno o no cose che contano?
E il Papa… Oggi doverosamente ci inginocchiamo. Tutti fedeli, peccatori e no, perdonati nella misericordia divina. Poco meno di un secolo e mezzo fa – mica ai tempi delle palafitte dell’Isolino… – il Papa Re ai peccatori (anche soltanto a quelli “politici”) tagliava la testa.
Spesso i giudizi e le valutazioni cambiano ma le piazze e le vie (non sempre, per fortuna) restano.
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