“Si scopron le tombe, si levano i morti…”. Parafrasando l’antico inno patriottico potremmo aggiungere “E i nostri progetti son tutti risorti”. Risorgono, se ne riparla ed è certamente buona cosa. Si informano le giovani generazioni, si dimostra che non mancavano idee e progettualità messe a freno da non lungimiranza. Soprattutto si prende atto che certi problemi che viviamo tuttora hanno radici antiche.
Il questi giorni sono ricomparsi i vecchi progetti per duplicare i binari delle Nord da Malnate a Varese. Come è noto questa è una strozzatura che origina, a cascata, ritardi ed inefficienza della Laveno, Varese, Saronno Milano.
A suo tempo, parliamo prima della fine del 1800, capitali privati si erano indirizzati nel settore delle ferrovie, infrastrutture dell’avvenire. Le Ferrovie Nord Milano furono una di queste fortunate iniziative. Un tracciato che collegava Varese a Milano passando da Saronno, più breve di una diecina di km da quello delle Ferrovie dello Stato, e che attraversava un territorio fiorente di attività manifatturiere ed agricole. Il costo della posa di binari era il meno significativo. Realizzare linee a doppio binario in pianura si poteva fare e si fece. Ma… giunti a Malnate incominciavano i problemi. L’orografia del territorio rendeva l’impresa più complessa. Bisognava superare la Valle dell’Olona e le Nord adottarono la soluzione più risparmiosa e meno lungimirante.
Si proseguì col binario unico, soluzione adottata quasi sempre per le linee secondarie. E via andare da Malnate a Varese e poi a Laveno.
Siamo tornati all’emblema di Malnate, il Ponte. Un viadotto alto una sessantina di metri e lungo oltre 200, costruito per superare il sottostante vallone del fiume Olona.
Non tanto tempo dopo, constatato lo sviluppo avuto dal territorio attraversato dalla linea e moltiplicatesi le corse, si giunse al progetto recentemente riesumato.
Tutto era tecnicamente possibile per proseguire verso Varese. Il grande Ponte e anche quelli sul “Gaggione” e sul “buscasc” a scavalco di altri corsi d’acqua. Per il resto avrebbe dovuto pensarci il Comune di Varese. Il quale invece non pensò ne prima né dopo a difendere un tracciato urbano che consentisse in futuro la posa di un secondo binario. Si pensi alla follia di avere permesso una serie di brutte edificazioni residenziali tra le vie Monte Santo e Bainsizza in fregio ai binari. Quindi per la verità il problema non sarebbe oggi quello del ponte e dei ponticelli, tutti tecnicamente fattibili, ma quello di abbattere case a Varese! Questo è diventato sicuramente un limite nella risoluzione del comparto delle due stazioni che avrebbe potuto avere anche altre soluzioni nella unificazione delle stesse fino a permettere una circolarità del traffico ferroviario Milano, Gallarate, Varese, Saronno, Milano. E viceversa.
Da subito però fu chiaro che le due linee ferroviarie che convergevano a Varese avevano l’interesse ad andare oltre, ma si trovarono entrambe senza terreno. Davanti avevano le acque dei laghi, le Nord il Verbano a Laveno e le FFSS quello di Lugano a Porto Ceresio.
Un isolamento, un cul di sacco che il compianto ingegnere Antonino Mazzoni denunciò durante la sua lunga vita. Predicava (uso questo verbo adatto alla sua ininterrotta valida missione) con passione e competenza, proponeva e argomentava l’assoluta necessità di collegamenti ferroviari con la Svizzera ed il Centro Europa. Un antesignano certamente della Arcisate-Stabio cosi è chiamata riduttivamente la tanto attesa Varese – Svizzera, con le sue diramazioni.
Una porta è stata ora aperta anche se manca ancora parecchio per liberare Varese dai vincoli che la tengono tuttora lontana da collegamenti diretti, frequenti e puntuali con Malpensa e con Milano.
Anche l’imbuto di Malnate oggi non è più problema insuperabile, una maledizione eterna. Le moderne tecnologie elettrotecniche garantiscono anche su tratti a binario singolo efficienza, puntualità e massima sicurezza. Bisogna applicarle, investire. Dovrebbe provvedere la Regione Lombardia, unica proprietaria delle ferrovie Nord.
Invece sentiamo le solite promesse per il miglioramento di un servizio che non avviene mai. Sempre rinviato al futuro.
Eppure non c’è altra via. Ci si accorge in ogni occasione. L’aggiudicazione delle Olimpiadi Invernali del 2026 ha già prodotto conteggi su quante camere d’albergo del varesotto saranno occupate da atleti, seguito, turisti. L’epicentro Milano ha messo in moto il recupero della piena funzionalità degli impianti del Palaghiaccio. Il Comune sta già lavorando. Si è constatato, cifre alla mano, quanto siano redditizi i grandi eventi sportivi per il correlato turismo e per promozione del territorio.
Inoltre un sistema di pubblici trasporti, un treno che in mezz’ora porti da Varese a Milano aprirebbe altre prospettive per Varese che potrebbe tornare città appetita per residenze di livello in parchi e giardini.
Basta valutare quanto sta succedendo a Milano destinata a diventare grande città di valenza europea per centri direzionali e servizi. Grandi società finanziarie di valore mondiale stanno progettando e investendo nella nuova metropoli in aree dismesse di vecchi scali ferroviari o recuperate in centro città. Grattacieli sorgeranno come funghi: centinaia di migliaia saranno i vani destinati ad uffici. E chi lavorerà in tali uffici dove andrà ad abitare?
Offrire residenze qualificate e sedi di centri direzionali figliati e collegati a Milano, sarà una opportunità che Varese non dovrà farsi sfuggire per uno sviluppo sostenibile in un magnifico ambiente naturale da godere e conservare. Questo appare certo.
Abbiamo dunque visto aprendo cassetti, atti e stampa locale che a Varese non sono mancate idee e progettualità. E’ mancato il coraggio di prospettare un diverso futuro mentre la vecchia economia manifatturiera stava tramontando. Potremmo continuare in questa ricerca.
Verremo così a sapere, come già detto, che le due ferrovie avrebbero potuto avere un percorso circolare; che il Campo dei Fiori poteva diventare un valico con una strada che proseguisse scendendo verso Orino e la Valcuvia ; che la nostra montagna poteva essere edificata con villini di lusso nel versante del monte San Francesco; che l’ippodromo, stalle e servizi avrebbero potuto trasferirsi a Capolago; che la copertura del trincerone delle Nord fino a Via Magenta era stato programmato ; che l’attuale Viale Europa doveva essere una strada parco, panoramica con controviali, mai nata così fin all’inizio e poi ridotta a strada normale nell’ultimo tratto di Viale Chiara… e via ricordando.
Non si è avuto il coraggio di investire per non creare debiti a carico delle future generazioni. Bisognava soddisfare le grosse esigenze dell’immediato.
Cosi Varese si è trovata priva di opere strutturali per il futuro e in compenso con tante strade ricche di buche e di lampade mancanti… Inevitabile.
Ovviamente nel ricordare soluzioni urbanistiche del passato ci siamo riferiti a progetti seri, compiuti. Non a ideuzze buttate là come ne appaiono di frequente sui media per ottenere un momento di visibilità personale. Il periodo feriale garantisce qualche sonnacchiosa lettura a chi sta sotto l’ombrellone. Ma non esageriamo. Evitiamo il “bar sport” e il ridicolo.
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