«Cosa possiamo fare per mettere in salvo ciò che conta davvero nel nostro vacillante ordine sociale e politico?». Da una riflessione sui fini e sui contesti spostiamo l’attenzione sui mezzi della rappresentanza.
«Al momento – nota Mounk – i nemici della democrazia liberale sembrano più decisi a plasmare il mondo rispetto ai suoi difensori. Se vogliamo proteggere sia la pace che la prosperità, sia il governo popolare che i diritti individuali, dobbiamo riconoscere che questi non sono tempi ordinari. E prendere misure straordinarie per difendere i nostri valori». Non dobbiamo inventare nuovi valori per restituire senso alla politica. Serve invece un cambiamento di rotta. L’antipolitica non si contrasta con i vizi e i riti autoreferenziali della politica attuale o ignorando i problemi reali che i populisti manipolano con risposte erronee o demagogiche. Il tracollo ulteriore nella qualità dei rappresentanti registrato con l’ascesa dei populisti non giustifica il rimpianto per chi li ha preceduti. Prima dell’onda populista la politica attiva era già ridotta a catene di cortigiani al seguito di qualche potentato. Come il grilloleghismo dimostra, questa rete feudale è stata ricostruita in modo inverso e speculare. Ma per contrastarlo non possiamo tenerci la feudalizzazione, i vecchi feudatari e le loro cordate. La feudalizzazione è foriera di corruzione: ben lo sappiamo dalle vicende che hanno travolto forzisti e leghisti a nord di Milano. Al contrario – il successo di Galimberti a Varese ne è prova – chi abbandona lo schema incentrato sul leader di partito correntizio e si sbarazza dei vecchi schemi interni, può essere premiato dagli elettori. Anche le spinte civiche più autentiche si impaludano quasi ovunque dopo il voto, ma almeno preservano le immunizzazioni originarie.
Tutti gli apparati che davano forma al consenso politico sono crollati, hanno subito lesioni profonde o sono in via di smembramento o di deperimento. La crisi non dipende, come vuole una vulgata dura a morire, da un deficit di governance o di decisioni. Il problema è la crisi di rappresentatività della politica e delle decisioni condivise e legittime che scaturiscono dalla rappresentanza. Urgono radicali correzioni nell’agire politico: la deontologia, le procedure, lo stile, il linguaggio, la formazione dell’opinione pubblica, la fermezza, il netto rifiuto di ogni politicismo.
Per restituire credibilità alla politica e riconquistare la fiducia nella democrazia liberale, restano necessarie l’unità di chi vuole difendere le regole e i diritti e le azioni di contrasto, proattive e reattive, verso chi li vìola. Ma non sono sufficienti se manca la volontà di riportare la democrazia liberale all’altezza delle aspettative. Tutte le forze liberaldemocratiche devono condividere, assumere, incorporare e comunicare uno stile politico antitetico ai paradigmi, ai linguaggi e ai comportamenti dei populisti. Gli elettori devono pretendere di più nei modi di interpretare la politica in termini di partecipazione, trasparenza, moralità, discussione, coesione e impegno sociale;ma saranno spinti a farlo solo se la qualità dell’offerta sarà buona. Occorrono segni inequivoci di discontinuità rispetto alle politiche trascorse. I correttivi da imboccare simultaneamente prendono più direzioni: la comune difesa delle regole; le prassi istituzionali; l’azione pubblica; il confronto interno e con gli avversari; la presa di distanza dallo status quo; il superamento dei feudalesimi intrapartitici; la trasparenza dei finanziamenti; il radicamento sociale e territoriale; la ricostruzione di una cultura civile; l’adozione di strumenti di divulgazione e sensibilizzazione per orientare l’opinione pubblica in questa rischiosa transizione. A questi compiti, già difficili, vanno aggiunte due missioni impossibili, almeno in Italia: la sostenibilità dei costi della politica, con oneri trasparenti a carico dello stato; e la prevenzione del voto di scambio.
In una parola, si tratta sempre di adempiere alle promesse della modernità nelle impervie condizioni generate dalla socializzazione digitale e dalla frantumazione sociale. Le pratiche formative, discorsive e deliberative della politica vanno allargate e rese trasparenti e continuative. La libertà «è una riunione infinita»: una pratica che contrasta sia il vecchio verticismo burocratico sia i cortocircuiti sincopati dei social media. Non serve un generico confronto, ma la qualità di un confronto positivo, argomentato, realistico e senza demagogia.
Senza contenitori nuovi ed efficaci anche i migliori contenuti resteranno enunciati sterili. L’autocorrezione della politica non riguarda solo i contenuti economici e sociali dell’agire. Gli attori, si è detto, restano i cittadini organizzati entro strutture partitiche e altre forme di rappresentanza e tutela legittima, a partire dal lavoro, seppure con un basso grado di apparati burocratici, di liturgie e di relativi officianti, flessibili e discorsive quanto basta. Quali forme organizzative scegliere? Quale sarà in particolare il ruolo dei partiti?
Democrazia e forma-partito hanno legato le loro sorti nella reciproca ascesa e nella reciproca crisi. Potremo affrontare più facilmente l’epoca straordinaria in cui siamo entrati nel nuovo millennio con una riformulazione innovativa ed efficace della forma-partito o con la sua sostituzione mediante consorzi più fluidi e più diretti nei rapporti mediatici con l’opinione pubblica? Ciascuna soluzione presenta delle difficoltà. La prima implicherebbe il ritorno alla rappresentanza sociale nei termini di nuove territorialità ma in assenza di elementi di coesione derivanti dalla localizzazione delle attività produttive. La seconda rischia di essere una variante buona del populismo, civilizzata, ben intenzionata e riflessiva, oppure un’aggregazione volatile e destrutturata che si affida indifesa e inconsapevole alla dittatura digitale paventata da Harari. Il rischio è più grave della difficoltà, perché il populismo sostituisce alla cooperazione strutturata la delega al leader. La sorte dei capi è in balìa dell’umoralità, dell’intermittenza e della volatilità della fiducia. Per durare, i leader populisti sono indotti a violare i fondamenti della democrazia liberale e a nutrire vocazioni autoritarie.
Müller vede nei partiti più un’opportunità che una barriera. La democrazia va rivitalizzata come prassi, non può ridursi a «un’interazione tra istituzioni ufficiali». «In una democrazia chiunque può avanzare una pretesa rappresentativa e constatare se un determinato elettorato è sensibile a essa o, almeno, se si identificherà con l’interpretazione simbolica di un’identità di gruppo di cui i cittadini non erano per nulla consapevoli. La democrazia ha lo scopo di moltiplicare queste pretese». «Manifestazioni di piazza, petizioni online e altre dimostrazioni hanno tutte un autentico significato popolare, ma non hanno un’adeguata forma democratica e non possono contare su una carta vincente democratica dinanzi alle istituzioni rappresentative». Tuttavia facilitano la possibilità di suscitare un’istanza di rappresentatività. Allo schema “pars pro toto” dei populisti, la democrazia oppone lo schema: “Anche il mio partito è parte del popolo” e lavora per una più estesa ricomposizione sociale, non politicista e non fideistica. Il radicamento della rappresentanza delle varie componenti della società favorisce la ripresa della democrazia. Il populismo fonda le sue fortune su una mediazione temporanea e verbale di istanze sociali decomposte con il disaggregarsi del lavoro; ma questa mediazione è effimera e inconsistente non appena prova a oltrepassare l’immediatezza del suo impatto narrativo e dei suoi effetti mediatici. Non si può inseguire il populismo sul suo stesso terreno; si può provare a cercare nuove mediazioni, o a ricostruirne quando possibile e necessario, in nome dell’equità, dei diritti del lavoro e della tutela dell’ambiente.
Se adottano una deontologia antiretorica – nota ancora Müller – , le forze democratiche rischiano di perdere. Ma il rischio va corso. Occorre parlare con franchezza: «Questo non lo possiamo fare, questo forse, questo sì». I populisti avanzano pretese smisurate dalla democrazia e sottintendono di essere gli unici a poterle soddisfare. La loro palingenesi non si afferma sulle ceneri delle palingenesi totalitarie del corpo centrale del secolo scorso, ma su quelle delle palingenesi liberiste che hanno sfiancato la democrazia demolendo i diritti sociali in nome di una globalizzazione selvaggia che prometteva mirabilie a vantaggio di tutti. L’escatologia politica, i miti palingenetici e le relative teodicee vanno abbandonate nel cassonetto e sostituite con la laicità civile neoilluministica indicata da Harari. La democrazia sa ammettere i propri limiti, la propria vulnerabilità, la fallibilità dei suoi interpreti e la necessità di testarsi e di apprendere per prove ed errori. La democrazia sa di dover camminare sui cocci delle sue «promesse infrante», come scrisse Bobbio. Il suo motto dovrebbe essere: «Ho provato. Ho fallito. Non importa. Riproverò. Fallirò ancora. Fallirò meglio». Nei miti populisti, invece, ultrademocrazia e antidemocrazia coincidono. Se il popolo è infallibile e i suoi rappresentanti hanno ricevuto un mandato imperativo, ogni promessa può essere adempiuta purché non trovi ostacoli sul suo cammino; i freni e i bilanciamenti del liberalismo sono un palese impaccio. Chi ha seminato decisionismo sta raccogliendo tempesta. La politica democratica adotta programmi sostenibili, documentabili, verificabili, chiari, meglio grigi che mirabolanti. E non può consegnarsi a leader decisionisti e carismatici.
La capacità di coordinare e di rendere collegiali i processi decisionali, di promuovere l’agire pubblico, di formare gli attivisti e di entrare in sintonia con gli elettori comprendendo i problemi che vivono per ritradurli in modo convincente, resta un punto fermo. La coesione è preferibile alla frantumazione. Ma il dubbio è più forte dell’enunciato. Al meglio delle sue capacità di formare e integrare, la coesione politica potrà sostituire una coesione sociale oggi fuori portata?
fine quindicesima puntata – Le prime quattordici sono state pubblicate sui numeri del 09.03.19 del 16.03.19 del 23.03.19del 30.03.19 del 06/04/19 del 13.04.19 del 20.04.19, del 04.05.19, dell’11.05.19, del 18.05.19, del 25.05.19, dell’ 1.06.19, del 08.06.19, del 15.06.19 e del 29.06.19).
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