“Il passato è latente, è sommerso, ma ancora lì, in grado di riaffiorare in superficie… L’uomo contiene – non il ragazzo – ma gli uomini precedenti, pensò”.
Questa riflessione di primo acchito può apparire quasi banale. Ma se la riconosciamo come un passaggio di una delle opere più sconcertanti di Philiph K. Dick può ancora raccontarci molto.
Ubik, romanzo scritto nel 1966 e pubblicato nel 1969 negli Stati Uniti, affronta molteplici temi inquietanti, profondi. Dopo cinquanta anni pone domande spiazzanti, perché – a pensarci bene – senza risposte.
Ubik, che per alcuni ricorda l’ ubique latino, cioè ovunque nello spazio e nel tempo, è ancora interessante. A dire il vero Dick, già dal 1975, si chiedeva perché il suo romanzo, visionario, psichedelico, scritto in un periodo caotico della sua vita già burrascosa, suscitasse tanto interesse. Poco importa che le risposte che lui, dotato di acre pessimismo, si diede siano diverse dalle nostre.
Non è facile (e non è da fare!) riassumere la trama: i protagonisti cercano di scrutare il futuro e ci proiettano in un tempo in cui il presente si dissolve e in cui la vita si scambia con la morte.
Il protagonista, anzi un protagonista, comunica con la moglie morta, o meglio semi- viva, per avere consigli, un altro, forse il vero protagonista, scompare dal mondo del 1992 per trovarsi negli anni Trenta. Insomma una vertigine narrativa per chi lo legge (e anche per chi lo rilegge): caleidoscopio di immagini e di provocazioni.
Per gli appassionati di fantascienza ci sono tutti gli ingredienti: l’agenzia degli inerziali, vale a dire gli esseri capaci di annullare le facoltà di altri esseri dotati di particolari poteri, ci sono i precognitivi, le vittime di meccanismi omeostatici, cioè quelli della relativa tranquillità. E ancora spionaggio industriale, attentato sulla Luna e molto altro.
Ma chi è Ubik? La risposta si trova nell’ultima pagina del romanzo: Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome, Io sono e sarò in eterno. Mai risposta così lapidaria ha dato adito a molteplici interpretazioni. È Dio che gioca ai dadi con il mondo? È il sistema solare? È sicuramente giusto continuare a chiederci che cosa sia e che cosa rappresenti Ubik. Allo scrittore americano il 1992 sembrava, nel 1969, lontanissimo. E forse lo è anche per noi. Ma al centro del romanzo, come di altri scritti di Philiph Kinred Dick, vi sono temi che sono fuori dal tempo: il confronto tra realtà, o meglio l’illusione di quello che chiamiamo realtà, e l’immaginazione, il mistero in tutte le sue forme. Riflessioni su Dio, riferimenti alla politica e alla società. Un passaggio proprio del primo capitolo è esemplificativo. “Quando sarò morto, disse tra sé Herbert Schoeneit von Vogelsang, farò in modo che i miei eredi mi riportino in vita un solo giorno per ogni secolo. In questo modo potrò osservare la storia di tutta l’umanità. Ma questo significava un alto costo di manutenzione per gli eredi… prima o poi si sarebbero ribellati…”.
Se la fantascienza, quale genere letterario, ha come presupposto una analisi della società in cui si vive, Dick ben colse – tra gli altri – il demone del denaro. Gli eredi – ha infatti scritto – si ribellano se devono pagare un prezzo . Il denaro che tutto condiziona.
Nel 1969 sembrava una profezia, una riflessione lungimirante. È , comunque, riduttivo classificare Ubik soltanto come un romanzo di fantascienza. A meno che comprendiamo che gli alieni non arrivano da altri luoghi ma siamo noi stessi che non sappiamo guardare la realtà. Oppure la guardiamo con occhi fortemente miopi. Certamente dobbiamo – usando le parole di Dick – sembrare qualcosa di più di un essere umano con le sue tipiche debolezze. Vale oggi come nel 1969. E non scoraggiamoci se ricordiamo che Dick fu veramente apprezzato soltanto da morto.
Il passato è sempre presente.
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