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Parole

SBRUFFONCELLA

MARGHERITA GIROMINI - 05/07/2019

Carola Rackete

Carola Rackete

Istruttivo, se non fosse stato angosciante, il caso della Sea Watch approdata – finalmente – a Lampedusa, a bordo 42 migranti sfiniti da 17 giorni di permanenza “a zonzo” nel Mediterraneo.

Al centro della storia la giovane capitana Carola Rackete accolta su quest’isola divisa tra sostenitori e detrattori.

Salvini la liquida, almeno ci prova, con l’epiteto di “sbruffoncella”. Poca cosa in confronto agli insulti volati al momento dello sbarco dagli ormai onnipresenti odiatori, in egual misura maschi e femmine.

Efficaci i comunicatori dello staff del Ministro, sempre accorti nella scelta degli slogan da suggerire di volta in volta. Con il termine sbruffoncella si cerca di banalizzare l’atto di ribellione, si prova a sminuirne la forza, si mette la sordina alla determinatezza e alla passione umana di una ragazza che ha trovato il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.

Carola sbruffoncella come la preadolescente bulletta di scuola media, che risponde male ai genitori e fa spallucce ai professori che la riprendono.

Per sovranisti e affini Carola è assimilabile alla categoria delle “Greta Thunberg”, l’adolescente della lotta per il clima, oggetto di altrettanti volgari attacchi, a cui possiamo aggiungere la cooperante Silvia Romano, rapita oltre un anno fa, che secondo taluni avrebbe fatto meglio a starsene a casa.

Donne e ragazze che non stanno al proprio posto. Appartengono a quel tipo di donna che disturba le corde più intime del sovranismo e ne solletica gli istinti più bassi liberando una rabbia antica, sorda e rancorosa, che si amplia a dismisura se unita alle altre due tipologie umane ampiamente attaccate sui social: il ricco e l’intellettuale. 

Carola diventa la ragazza ricca, figlia di papà, viziata e snob che, non dovendo guadagnarsi da vivere, si diletta a guidare navi di diverso tipo nei mari europei. Con l’aggravante di un lavoro maschile che la rende sospetta.

Invece il padre è ingegnere, la madre casalinga; ha studiato, acquisito brevetti, accumulato lauree, appreso cinque lingue e si è guadagnata da vivere guidando navi rompighiaccio o golette verdi; ha partecipato a escursioni artiche, ha tenuto lezioni sui cambiamenti climatici e ambientali.

Ma si sa: gli odiatori, sia quelli in carne ed ossa, sia i “leoni da tastiera”, non amano gli “intellettuali”, i libri e i “paroloni” che se ne possono ricavare. Prediligono il parlare schietto e non si preoccupano minimamente di apparire volgari.

Al grido del “chissenefrega delle azioni umanitarie” si concentrano sull’aspetto fisico di Carola: è spettinata, non si trucca, non è desiderabile; “Avrà mai fatto la ceretta ai baffetti e sfoltito le sopracciglia?”

Ecco poi, immancabili, gli insulti sessisti: una donna così non può avere pretendenti, al massimo la si può stuprare, lei con le mogli e le compagne dei parlamentari saliti a bordo della Sea Watch.

Inoltre anche la sua nazionalità è disturbante: è una crucca.

Ecco che cosa dice di sé Carola. “La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto ho sentito un obbligo morale: aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità”.

Costretta a scegliere tra giustizia e legalità, alla fine dei 17 giorni, vìola il decreto di Salvini in ottemperanza al rispetto del diritto del mare e dell’articolo 10 della Costituzione italiana.

Non sfida le leggi fino a che queste non confliggono con l’etica espressa nei principi universali dei diritti dell’uomo.

Il padre, intervistato, rassicura. La figlia sa il fatto suo e se la caverà, come sempre. Poche parole, davanti al resto della famiglia, un gruppo solidale, sereno e rassicurante.

Carola Rackete mi piace. Perché somiglia a qualcosa per cui vale la pena di sperare: somiglia a un essere umano che ama il prossimo.

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