C’era una volta un paese che si chiamava Fantilandia, aveva un grande passato di civiltà giuridica, di impegno civile, di grandi opere d’arte e di cultura. Un paese ricco di storia e di tradizioni. È come dice il nome, ricco anche di fantasia politica. Con grandi città e piccoli borghi. Con splendide risorse panoramiche e ambientali, meta di turisti di tutto il mondo, capaci di adattarsi ai piccoli disagi dei treni in ritardo e delle code su strade e autostrade.
Dopo averle provate tutte nel paese di Fantilandia si è insediato da qualche tempo un governo diverso rispetto a tutti quelli precedenti. Nato e sostenuto da quella motivazione bartaliana (ndr, da Gino Bartali, grande corridore ciclista degli anni ‘40 e ‘50) secondo cui tutto è sbagliato, tutto è da rifare.
In effetti il governo si è subito adattato alle tradizioni del paese. E ha lavorato con grande fantasia con uno strumento nuovo: per risolvere i problemi basta varare un decreto con un titolo risolutivo. C’è un problema di garanzie sui posti di lavoro? ecco il “decreto dignità”. C’è un problema di stagnazione economica? ecco il “decreto crescita”. C’è un problema, peraltro enfatizzato, di immigrazione clandestina? Ecco il “decreto sicurezza”. C’è un problema di realizzare opere pubbliche? Ecco il decreto “sbloccacantieri”. Ad ogni problema la sua soluzione. Non importa se poi ai titoli non corrispondeva un’effettiva efficacia.
E infatti l’economia continuava a languire, di nuovi investimenti non si vedeva l’ombra, i giovani continuavano ad avere grandi difficoltà a trovare lavoro e tanti sceglievano la strada dell’emigrazione.
Dato che nessuno al governo aveva il coraggio di ammettere le proprie colpe si cercava in tutti i modi di buttare le responsabilità della situazione sulle spalle di qualcun altro. C’era così che addossava tutta la colpa ai governi precedenti, altri alla difficile congiuntura internazionale, altri ancora all’Unione continentale di cui il paese era stato tra i fondatori ed aveva ricevuto grandi vantaggi, soprattutto grazie alla moneta e al mercato unico come dimostrava il fatto che uno dei pochi elementi positivi veniva dalle industrie di esportazione.
Ma tant’è, l’Unione era descritta come un esercito di burocrati e le regole liberamente sottoscritte erano considerate dei vincoli ingiustificabili. Era nata così la proposta di ritornare, magari con qualche stratagemma, alla moneta nazionale: una proposta lanciata da giovani e velleitari economisti che non si sentivano imbarazzati ad avere nostalgia di quella “lira”, la moneta del secolo scorso protagonista di perdite di valore record nella storia mondiale. Alla fine del secolo con una lira non si comprava infatti praticamente nulla.
Eppure il desiderio di battere moneta era altrettanto forte quanto irrazionale. Venne così la proposta dei mini-Bot, titoli di stato di piccolo taglio con cui pagare i debiti delle amministrazioni verso le imprese. Una proposta con più di un tallone d’Achille. Se sono titoli di Stato sono nuovo debito, se sono validi come le banconote sono illegali (in pratica moneta falsa) perchè la stampa di denaro è giustamente riservata alle Banche centrali.
Ma nel paese dì Fantilandia non ci si ferma davanti alla realtà e alla ragione. E non ci si ferma neppure davanti a quella regola secondo cui per aumentare la ricchezza e il benessere collettivo sono necessarie competenze e lavoro perché la bacchetta magica non la possiede nessuno.
Ecco allora la nuova proposta: se non possiamo pagare i debiti con mini-Bot, li pagheremo in francobolli perchè nessuna regola impedisce ad uno stato di stampare tutti i francobolli di cui ha bisogno, anzi molti di più perchè invece di lettere e cartoline vanno ormai di moda mail e selfie.
Francobolli quindi, di tutte le dimensioni e di tutti i tagli, anche quelli, per esempio, da mille euro, che potrebbero servire solo per spedire un elefante.
Non riuscendo ad affrontare la realtà i politici di Fantilandia hanno dato sfoga all’immaginazione, diventando il paese dei franco-Bot. Facendo sorridere il mondo, ma perdendo ancora di più credibilità e reputazione.
Ovviamente ogni riferimento a eventuali fatti reali è del tutto involontario.
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