Sospettato di trattenuta antipatia verso il governo gialloverde, il presidente della Repubblica dovrebbe ricevere umili scuse dai malpensanti. Egli infatti, dimostrandosi ligio al mandato che lo colloca al di sopra delle parti e dunque né favorevole né avverso ad alcun esecutivo, è già più volte intervenuto a salvaguardia del tremolante premier e dei rissosi vice. L’ultima qualche giorno fa, quando gli ha dato una mano (e quale mano) dichiarando all’Europa che l’Italia conserva nonostante tutto fondamentali economici non meritevoli dell’annunciata procedura d’infrazione. Ciò che costerebbe miliardi ai suoi già disgraziati contribuenti.
La mossa è stata evidentemente suggerita dal costante/tenace disfacimento ad opera di Salvini e Di Maio della tela che Conte e il ministro dell’Economia Tria ogni giorno devono ritessere per rammendare i rapporti con l’Europa, dove stiamo a zero considerazione, come dimostrano le nomine recenti. Siccome gli sta a cuore il destino del Paese, Mattarella fa il possibile e l’impossibile allo scopo di neutralizzare le nefaste azioni propagandistiche che con allegra incoscienza lo zavorrano. E siccome nel resto del Continente è il nostro rappresentante politico più apprezzato, la sua autorevolezza/spendibilità internazionale risulta determinante nel tenerci a galla.
Direte che ricordarlo è una banalità. Certo, ma una banalità che vale la pena d’essere detta. Troppo spesso la carica del presidente della Repubblica appare sottovalutata, quasi che il titolare sia un anonimo notaio senza il potere d’influire su determinazioni strategiche. Invece succede il contrario. Se interpretato con l’opportuna accortezza/lungimiranza, il ruolo può spesso muovere l’orologio della storia patria, altrimenti soggetto a brusche fermate e a lunghi periodi di complicata riparazione.
In un passaggio epocale fra i più tribolati dal dopoguerra in poi, la scelta (31 gennaio 2015) di Mattarella presidente si conferma saggia. Bisogna riconoscere che almeno in questo Renzi non sbagliò. Perché fu Renzi a puntare sul nome dell’ex ministro democristiano, cercando di persuadere Berlusconi -col quale allora vigeva il Patto del Nazareno- a virare su tale opzione, rimuovendo l’ipotesi Amato da lui prediletta. Un errore pagato a caro prezzo dal Cavaliere, che proprio a causa della divergenza sull’inquilino del Colle ruppe l’intesa, si schierò contro il leader dei Dem nel referendum costituzionale e aprì la strada alla cannibalizzazione salviniana di Forza Italia.
Proprio attestando quanto possa rivelarsi importante un buon capo dello Stato, Mattarella svolge -a sua commendevole insaputa- un’azione propedeutica all’individuazione del successore. Ne marchia ogni giorno il profilo ideale/pragmatico e fa intendere in che guai ci metteremmo se lo cambiassimo. Molti nei Cinquestelle, nel Pd e forse perfino in Forza Italia apprezzano la quotidiana lezione al punto da convincersi che sia meglio non interrompere l’attuale legislatura, così da rieleggere il nuovo presidente con una maggioranza parlamentare favorevole all’attuale trend istituzionale anziché con un’altra sensibile alla discontinuità. E’ qui la madre di tutte le battaglie fra antisovranisti e sovranisti: i favorevoli a un ideale Mattarella bis e i contrari, contrarissimi a replicare una figura di questo tratto politico. Le quirinarie sono aperte.
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