Frederick Forsyth, inglese di Ashford nel Kent, la cittadina dov’è stata realizzata la stazione del tunnel ferroviario sotto la Manica, compirà 81 anni il prossimo 25 agosto. È stato pilota della Raf, giornalista – ha lavorato per la BBC e per la Reuter – ed è probabilmente il più noto scrittore di spy-story europeo, o uno dei più noti, insieme con John le Carré, altro scrittore britannico.
Da alcuni suoi romanzi – il Giorno dello sciacallo, Dossier Odessa e anche i Mastini della guerra – sono stati tratti film di grande successo. Quindi, storie che muovono dall’esistenza di terroristi impegnati a eliminare importanti leader politici, a guerre nel terzo mondo – che spesso hanno visto impegnato il Regno Unito – alla caccia dei criminali nazisti, via via fino al terrorismo islamico, che a sensazione (ma non solo) di tutti rappresenta oggi la spada di Damocle sul mondo e sulla civiltà occidentali.
La caratteristica principale di Forsyth è facilmente riconoscibile, ed è la capacità di sapere innestare nelle storie che scrive personaggi – politici e no – della realtà quotidiana, più che “privati cittadini”, spesso chiamati con il loro vero nome, e vicende che attraggono sempre l’interesse del lettore per la loro attualità, accanto ai quali e nelle quali si articolano le imprese dei protagonisti del romanzo. Si tratta dunque, quasi sempre di romanzi-verità dove la fantasia arriva solo attraverso piccoli, interessanti e sempre avvincenti spiragli.
Nel suo ultimo libro – la Volpe, pubblicato in Italia nel gennaio 2019 da Mondadori – Forsyth parla di un tema che i suoi lettori sanno averlo sempre affascinato: il mondo dei computer, quindi le “avventure” di un ragazzo, un adolescente, mago ed esperto di pc, bravo come nessun altro, capace di penetrare come una lama nel burro nei più sofisticati sistemi di protezione di grandi banche, di archivi dei servizi segreti, di centri direzionali di apparati militari.
Il giovane, che soffre della sindrome di Asperger, malattia vicina o parallela all’autismo, refrattario a una normale vita sociale – che non sia quella della presenza e dell’assistenza della mamma –, trascorre tutte le sue giornate davanti a una consolle e al video di un pc. Di questa bravura saprà trarre vantaggio anche un vecchio marpione dei Servizi britannici, molto vicino e ascoltato dall’attuale – sino a poche settimane fa – prima ministra.
Ci può stare – scandagliando nelle trame degli scrittori di thriller – il richiamo a un giovane personaggio collaterale di cui Forsyth parlò in un suo libro di una quindicina di anni fa, il Vendicatore, di cui il protagonista si servì per organizzare un’impresa. Così come, detto a margine, proprio quel personaggio del Vendicatore descritto da Frederick Forsyth– l’avvocato americano Clive Dexter – ha molti agganci con uno dei più famosi eroi di questa lettera letterature di genere: il detective Harry Bosch, ideato dallo scrittore Michael Connelly, una ventina di anni prima e proprio nel primo di un sequel di romanzi di grande seguito tra il pubblico: la Memoria del topo.
Entrambi i protagonisti, Dexter e Bosch, sono uniti dall’avere la stessa età, cioè di essere nati nel 1950, di essere stati veterani della guerra del Vietnam, nella quale si erano arruolati giovanissimi e volontari, di essersi ricostruiti una vita una volta tornati a casa, ma soprattutto di avere fatto parte di quelle formazioni di specialisti, quasi uniche in quel conflitto che sconvolse gli Usa per dieci anni: i Tunnel Rats o i Ranger Rats, i soldati che si gettavano nelle imprese più pericolose, inoltrandosi sottoterra nel reticolo di tunnel – anche fino a quindici metri di profondità – che i vietcong avevano costruito nella giungla e dai quali muovevano per i loro attacchi. Tunnel inespugnabili, che potevano essere esplorati solo da uomini coraggiosi e spericolati.
La differenza tra Forsyth e Connelly sta nel fatto che l’inglese tratta più spesso nelle sue narrazioni di vicende legate alla storia recente e spesso alla realtà (il Vietnam, la guerra nel Biafra o il conflitto in Bosnia, la guerra nel Golfo, lo spionaggio antirusso che non si è placato con la caduta del muro), mentre le opere dell’americano Connelly, che pure fu giornalista e cronista di nera nel Los Angeles Times si snodano attraverso casi, diciamo così, più privati.
Frederick Forsyth, e anche nel suo ultimo romanzo seguito per altro alla pubblicazione di una bella e interessante autobiografia – l’Outsider – ne dà prova, dimostra una conoscenza degli armamenti e delle tecniche militari e di indagine più in auge e all’avanguardia. I suoi libri non sono solo romanzi ma saggi specialistici e storici.
Leggendo, qualche anno fa di alcune note caratteristiche di Forsyth, s’è scoperto che egli è ed è stato favorevole alla Brexit. Se ci è consentita un’interpretazione, diremmo non a sostegno di una posizione politica antieuropea o antimmigrazione, piuttosto un omaggio e una conferma, tipica di intellettuali della sua generazione, verso una certa “superiorità britannica”, che non ha bisogno di legami, e spesso – nei conflitti – anche avallata dalla storia; un pregio e un limite, perché non è detto che le cose si debbano sempre ripetere, nonostante il più orgoglioso degli ottimismi.
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