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Società

PIETAS

EDOARDO ZIN - 28/06/2019

cittadiniAvevamo dovuto lasciare la macchina giù in valle. Una frana interrompeva la strada che conduce al borgo dove don Giuseppe, un caro prete con il quale avevamo condiviso per anni gioie, affanni e speranze, si era ritirato nella vecchia canonica, dopo aver servito per altri dodici una grande parrocchia della città.

Vedevo la strada che si inerpicava e la sentivo bella compatta sotto i piedi, avvertivo la costanza di una cura puntuale; avevo il fiatone e ogni tanto sostavo per ammirare i prati che ammorbidivano i pendii, i boschi neri che la cingevano, le montagne della mia giovinezza che si alzavano immense. Arrivammo alla piazzetta: un grappolo di case, una vecchia osteria, la chiesa, le stradine lastricate di ciottoli. Passa una donna, ci saluta, ci osserva. Il nostro vecchio parroco, segalino, col volto su cui splendevano i suoi ben noti occhi glauchi, era sulla porta che ci aspettava. Un abbraccio, i soliti convenevoli e l’invito di accomodarci subito a tavola, dove Pierina, la sorella, aveva preparato un menù tipicamente veneto. Noi avevamo portato il Garganego e la focaccia.

Tra un piatto, un ricordo, una risata, si conversa.

“Don Giuseppe – gli chiede Mario – che cosa pensa della Chiesa d’oggi?”

“Benedico ogni giorno il Signore per averci mandato Francesco. So che è segno di contraddizione. Ti ricordi che, durante il Concilio, i guardiani dell’ortodossia ci giudicavano quasi eretici perché desideravamo che dai principi immutabili e unici si praticasse la strada della vicinanza ai più poveri, che dalla carità si passasse ad una maggiore giustizia sociale, che i cristiani animassero una politica senza interessi personali. Era l’epoca del collateralismo. E condannavamo chi si serviva della Chiesa per portare avanti compromessi. Oggi Papa Francesco ci obbliga a camminare tutti assieme seguendo le Beatitudini, esalta la misericordia e la giustizia, fa battere il nostro cuore all’unisono con quello dei più diseredati. È questa la Chiesa di Francesco: combatte il male, ma salva il malvagio, sradica il peccato, ma non permette di sradicare con lui il malvagio perché sa che ogni uomo è stato riscattato da Cristo… Anch’io cerco di imitarlo, cerco di assomigliargli!”

“Allora – lo interrompe Arturo – che cosa pensa degli ultimi interventi di Salvini, dei suoi decreti, della sua linea dura contro i migranti?”

“Quello che ho sempre pensato da quando ho letto la lettera di don Milani ai cappellani militari: le leggi si possono mettere in discussione quando diventano l’oppio delle coscienze. I fenomeni migratori devono essere governati da leggi ben precise perché se non ci fosse la legge il gemito del naufrago non mi darebbe quiete, ma i divieti non possono andare contro l’uomo. Essi devono salvare l’uomo. Se si tratta l’uomo senza cuore e non lo si ama come Gesù ci ha insegnato, si diventa omicidi. Chi non ha pietà va contro il Vangelo e contro la terra. L’uomo è stato creato ad immagine di Dio, il politico viene eletto! Quando un figlio muore, il padre accorre in suo soccorso…”

Intervengo io: “L’insegnamento della Chiesa è molto chiaro e semplice da applicare. Non possiamo accogliere tutti….”

Mi blocca don Giuseppe:” Sì, ma non possiamo dire “prima gli italiani!”. Dobbiamo dire “prima l’uomo!” e la nostra Costituzione all’articolo 10 prevede che si debba rispettare il diritto internazionale, che lo straniero ha diritto d’asilo e che non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici. Secondo questi principi si doveva promulgare una legge che coniugasse accoglienza e integrazione, invece si è preferito gestire questo fenomeno accentuandolo col livore del proprio colore politico, facendo appello anche a argomenti religiosi, anziché usare argomentazioni politiche.”

Tra un piatto di bigoli con l’anitra e un cotechino, ascoltiamo il nostro vecchio parroco, che ha conservato tutte le energie di un tempo e la lucidità di pensiero assieme ad una non comune sapienza di cuore.

Mario non nasconde la sua contentezza e interviene per giudicare gli atteggiamenti di un noto politico come una manovra sbagliata e controproducente.

“Eh, no, mio solito, acuto analista – interviene il vecchio parroco – ormai la superficialità della gente, la decadenza culturale, il progresso che viene interpretato come sviluppo, i giovani in perpetua adolescenza, i politici ormai diventati ingranaggi di un apparato, una società senza ideali, il calo demografico esigono che la chiesa parli. L’impegno sociale della chiesa oggi è più che mai necessaria per salvare l’uomo e rendere così presente Cristo nel mondo. Quando uno pretende di avere la verità, o addirittura essere la verità, sopprime lo spirito del dialogo, oggi più che mai necessario. Quando si utilizza una frase del Papa per convalidare le proprie lusinghe, si vuole dividere i cattolici non sull’unità politica come un tempo, ma sull’essenza del Vangelo. Io non mi lascio intimidire da costui che grida perché è stato votato dal popolo o perché brandisce simboli religiosi come amuleti! Che significato ha rivendicare l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, anche semplicemente come simbolo culturale, quando si disprezza lo “scartato”, ma che diverrà testata d’angolo? Sono questi falsi profeti che, con i loro grossolani e scoperti accorgimenti, fanno male alle nostre comunità! I credenti che si lasciano abbindolare da costoro dimostrano di non essere coerenti perchè anche la politica, come tutte le realtà temporali, si deve ispirare al Vangelo. Molti, che non trovano cittadinanza in politica, si dedicano al volontariato, che costituisce la vera forza dei cattolici nel sociale…”

Una grassa risata risuona nella cucina quando don Giuseppe ci racconta un episodio di cui è stato testimone. Un uomo politico era andato in udienza dal suo vescovo per offrirgli la sua collaborazione “per la difesa della civiltà cristiana e della famiglia”. Monsignore gli rispose:” A difendere la civiltà cristiana e la famiglia basto da solo, tanto più che io ho due cose che lei non ha: l’amore per tutti e il gusto della libertà.” E lo accompagnò alla porta. Aggiunge il mio vecchio parroco: “Vi accompagno alla porta anch’io, ma non con disdegno: con molta speranza”.

Il sole ormai si nascondeva dietro i monti e inondava con un ultimo raggio la vecchia casa canonica.

Da dove scendeva la luce?

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