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Divagando

ANNI BUI

AMBROGIO VAGHI - 28/06/2019

leggi-razzialiSi è parlato e scritto molto nei mesi scorsi delle leggi razziali fasciste nella ricorrenza dell’ottantesimo anniversario della loro emanazione. Da qualche tempo con viaggi della memoria nei campi di sterminio della Shoah pubbliche istituzioni e scuole con insegnanti sensibili al problema hanno ricordato le nefandezze dei campi di sterminio. Furono l’approdo finale dell’allineamento del fascismo all’’alleato nazista tedesco il quale aveva cominciato ben prima, in casa propria, con discriminazioni, violenze di ogni genere, cacce indegne alle famiglie di origine ebraica. Tra troppi silenzi da parte del resto del mondo democratico e della chiesa cattolica.

Un impegno apprezzabile quello dei viaggi della memoria ma assai limitato laddove scuola e programmi scolastici sono stati assai latitanti. Ne è stata conferma recente il suggerito tema di maturità che ha trovato larghissima parte dei liceali ignara del fatto che Gino Bartali fosse stato dichiarato tra i ”Giusti delle nazioni” per il suo impegno nella resistenza antifascista e a favore degli e ebrei.

Nel 1938 le leggi passarono tra l’indifferenza della popolazione quasi fossero interesse solo di persone impegnate negli enti pubblici, soprattutto nelle università e negli apparati dello Stato.

Questo parve a me ragazzetto coinvolto mio malgrado in una modesta vicenda nata appunto dalle leggi antisemite e che ricordo ancora nei particolari.

Frequentavo le inferiori dell’Istituto magistrale e mi ero procurato per tempo il testo di geografia indicato in adozione: “L’Uomo e il suo regno “, autori Pennesi e Almagià, ma all’inizio delle lezioni ci venne comunicato che quel testo non si sarebbe più usato. Perché ? Perchè gli autori erano ebrei. Meraviglia. Mi fu difficile capire come e perché due ebrei non fossero più validi autori di libri sussidiari di geografia, ma rimasi abbastanza seccato perché dovetti procurarmi un altro testo mentre le mie le mie lirette di orfano di padre non erano certo abbondanti.

In generale, ripeto, non ricordo che la popolazione ne fosse particolarmente interessata. Tuttavia la guerra sembrava avvicinarsi a grandi passi. Quasi ogni settimana folti gruppi di studenti delle facoltà della vicina Città degli Sudi ( parlo ovviamente di Milano ) passavano dal nostro Istituto Magistrale e con modi non certo gentili verso gli insegnanti svuotavano le aule e ci inducevano ad accodarsi al loro corteo. A dirigere l’orchestra erano “ quelli della Farnesina” insegnanti di educazione fisica e al tempo stesso ufficiali della Milizia fascista.

Solito obiettivo raggiungere a porta Venezia nei pressi dei Giardini pubblici il Consolato della Repubblica Francese dopo avere imbrattato con la vernice qualche vettura dell’azienda tranviaria bloccata tra i manifestanti.

Appunto davanti a quel consolato in via Salvini ( l’omonimia col capo leghista attuale è del tutto casuale ) si esplicitava lo scopo della manifestazione. Un bailamme di grida e cartelli rivendicativi. Alla Francia si chiedeva di renderci Nizza, la Savoia, la Corsica e magari la Tunisia che rappresentava “ una pistola puntata verso l’Italia “. Poi intanto che c’eravamo perché non chiedere che pure l’Inghilterra, la perfida Albione, non ci restituisse l’isola di Malta ? Continuava e si esasperava quel nazionalismo avviato dalla Roma che aveva conquistato con la guerra in Etiopia il suo posto in Africa e creato l’ Impero affidato all’imbelle Vittorio Emanuele III.

Si andava così assai rapidamente verso il conflitto mondiale trascinati dall’Asse Roma-Berlino. Era il 1940 ma buona parte degli italiani dai ragionamenti che sentivo fuori dall’ambiente decisamente “anti” in cui vivevo, rivelava ancora una ampia adesione di massa al fascismo. Cosa del resto spiegabile. La campagna di aggressione all’Etiopia aveva ridato fiato all’economia trainata dalle industrie belliche. Terminavano gli anni di privazioni e di larga disoccupazione riflessi dalla grande crisi mondiale degli anni ’30.

 Appunto nell’estate del ’40 la guerra era stata dichiarata dal Duce davanti a una folle ancora entusiasta nella fatidica Piazza Venezia.

Con poche cannonate al Col Clavieres e al Monginevro sulle Alpi occidentali l’Italia si prese il diritto di avere piegato la Francia. Un cantare vittoria di fatto avvenuta grazie alle truppe tedesche che, aggirata la potente linea Maginot, si erano trovati in un baleno a Parigi. Una vittoria “lampo “ di una guerra in cui tutto doveva essere “lampo”.

Il fatto fu ben sfruttato dalla propaganda del regime ma gli effetti furono di breve durata. Bastò nell’agosto del 1940 qualche breve incursione aerea su Milano e qualche altra città del nord Italia per far percepire una realtà del tutto nuova. La guerra non si sarebbe più limitata sui fronti di terra o sul mare, ma sarebbe venuta anche dai cieli. E avrebbe coinvolto persone, popoli, territori lontani anche migliaia di chilometri dai fronti di guerra. Un conflitto totale. Bisognava prenderne atto e lo capirono anche coloro ancora convinti “dell’immarcescibile vittoria delle forze dell’Asse “. Vi contribuirono la penuria di derrate, il razionamento, le tessere annonarie. Anche il poco e cattivo pane fatto di più strani cereali e talvolta con l’aggiunta di ben macinata segatura, Il mercato nero che ne aveva vita, tutto a favore di chi aveva più soldi. Nelle città si pativa la fame, quella vera. Nei prati si ricercavano tutte le erbe commestibili. I prodotti delle campagne e delle stalle dovevano andare agli ammassi, spesso requisiti dai tedeschi.

Le nostre vite erano cambiate. Alle 10 di ogni giorno il suono delle sirene dall’arme aereo per provarne l’efficienza ci ricordava un pericolo sempre imminente. Come pure i rifugi antiaerei, l’oscuramento di case, strade, veicoli. Le strisce di carte gommate applicate ai vetri di porte e finestre. Il tutto sotto il controllo del “capo fabbricato”. Notti passate nei rifugi cercando di non interrompere la nostra vita di sempre. Di frequente io passavo le ore in quei luoghi delle paure leggendo testi e appunti per prepararmi all’interrogazione del giorno dopo a scuola. Tra pianti di bambini, imprecazioni, preghiere..

 Soltanto chi ne aveva i mezzi era sfollato o lasciava nel pomeriggio il centro città dove aveva una attività per passare la notte in qualche vicino paese.

Fino a quel 24 ottobre del 1942 quando il confronto diventò pesante. Era il tardo pomeriggio e vidi passare a bassa quota una formazione di enormi aerei. Dalle loro pance uscivano grappoli di bombe. Una di esse scoppiò a neppure 100 metri da me. La casa dove al piano terra stava il negozio Jolly dei “Vini d’Italia “ era diventata un cumulo di macerie che nascondevano tanti morti.

Si erano moltiplicate le incursioni mirate ai nodi ferroviari, ai ponti sui fiumi e alle fabbriche impegnate nella produzione bellica.

I varesini sanno bene come caddero le bombe destinate all’Avio Macchi. In quel mezzogiorno di cielo azzurro terso e in quella disgraziata notte.

Altro che guerra lampo con relative illusioni. Sui lontani fronti di guerra aperti invadendo nazioni ben lontane da noi, le avanzate erano state clamorose. Mosca, Leningrado, Stalingrado, le grandi città che portavano i nomi degli artefici della Russia dei Soviet, erano cadute o si difendevano strenuamente. Il contingente italiano dell’ARMIR formato da alpini, fanti e bersaglieri male equipaggiati ed armati aveva raggiunto le rive del fiume Don.

 Poi iniziarono le ritirate “ strategiche” con drammatiche conseguenze anche per i soldati italiani che diedero vita a eroismi inenarrabili.

 Finalmente nella primavera del 1944 gli Alleati con il megagalattico sbarco in Europa sulle sponde dell’Atlantico aprirono quel secondo fronte che alleggerì la pressione delle truppe dell’”asse” sull’Unione Sovietica rimasta sino ad allora sola a gestire il fronte orientale la pressione delle truppe degli invasori.

 Ci vollero però i massicci, diffusi bombardamenti aerei dell’estate del 1943 per indurre gli ancora titubanti Maresciallo Pietro Badoglio ed il sovrano Vittorio Emanuele III a firmare l’armistizio dell’8 settembre. Lasciarono vergognosamente senza direttive il nostro esercito fagocitato dai tedeschi.

 Nasceva l’ultima tragica farsa chiamata Repubblica Sociale, quella di Salò. Nasceva la Resistenza armata la cui lotta doveva portarci alla Liberazione dai tedeschi, dal fascismo, fino alla tanta agognata Pace. E tanti momenti ancora attraversati da cacce all’ebreo e persecuzioni iniziate ancora nel lontano 1938.

Ma è proprio il caso di dire “ che questa è un’altra storia “.

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