Ad un caro amico che mi rimbrotta perché ho scritto “Anche a me questa Europa non piace!” voglio assicurare che “questa” Europa va migliorata, ma certamente non cambiata radicalmente. Provo dolore, forse sdegno, persino ira per “questa” Europa, ma non pessimismo né rassegnazione.
Vedrò di spiegarmi meglio. Le società europee non sono solo il frutto della cultura dominante: sono il risultato anche delle politiche dell’Unione degli ultimi due, tre decenni. La globalizzazione, le politiche neo-liberiste, il terrorismo, il fenomeno migratorio, forse una troppo frettolosa apertura ai paesi dell’est, la crisi economica, la rivoluzione tecnologica hanno cambiato il volto delle nostre società.
Mentre questa cultura si diffondeva, il trionfo incontrastato della democrazia di mercato assumeva il comando della politica. I gruppi internazionali riuscivano ad ottenere da deboli governi nazionali – in cui si nota una preoccupante assenza di partecipazione democratica – trattamenti privilegiati con strategie che sono al limite del ricatto. Da qui alla perdita della fiducia nella politica il passo è stato breve: sono nati la rabbia e il populismo, secondo il quale solo una parte degli elettori è davvero il popolo, mentre tutti gli altri sono accusati di essere corrotti.
In questa situazione politica è aumentata la percentuale inaudita di persone che ostentano i loro privilegi e le loro ricchezze, oscurate dall’insoddisfazione, dall’angoscia, dalla solitudine, se non dalla depressione, dei diseredati. La paura del nemico viene sfruttata ideologicamente per trarne vantaggi elettorali. L’individuo, che nell’economia ricerca il massimo profitto possibile rinunciando ad essere cittadino per diventare consumatore, scompare nella massa in cui non ha più voce. I governi d’altro canto cercano di ottenere benessere erigendo muri e barriere di filo spinato e isolandosi. Ad aggiungere nuovi mattoni a questi muri arrivano i moti narcisistici di coloro che disvelano sulle piattaforme digitali i loro sentimenti aggressivi e le loro convinzioni discordi, giungendo a barricarsi dietro lo schermo di un computer.
A tutto questo si deve aggiungere la disarmonia tra ragione e cuore. L’intelletto viene spesso ridotto a pensiero calcolante, votato al proprio interesse, all’utile e al pragmatico. Ma il pensiero separato dalla passione, dalla meraviglia, dal rapimento, dallo stupore precipita nel freddo razionalismo a danno della conoscenza che diventa fragile e incline a cedere anche di fronte all’oggettività, alla ricerca scientifica, alle statistiche ufficiali, alle fonti verificate.
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Molti altri sono i guai delle nostre società, per ciascuno dei quali “si vorrebbe un balsamo per molte ferite” – come scrive Hetty Hillesum.
Che cosa può fare l’Unione Europea – governi e popoli – per ritrovare la strada che porti alla guarigione di questi mali che hanno contagiato le nostre società?
Anzitutto, le politiche e le istituzioni devono essere al servizio dell’uomo e non dell’economia. Il dialogo è l’unico modo in cui poter produrre l’armonia tra parole che imbrigliano le ipocrisie e le realizzazioni concrete. La complessità delle necessità deve essere illuminata dalle idee e dalla ricerca del bene generale. È accettando l’incontro, ascoltando l’altro che si costruisce la solidarietà, capace di mettere in discussione anche gli interessi particolari. Ad aiutare in questo processo di metamorfosi dell’Europa possono contribuire le chiese cristiane, i credenti nell’islam pacifico e i non credenti che pur sono desiderosi di concordia: parola astratta, ma che volendola, reclamandola, supplicandola può diventare itinerario concreto di cambiamento. Se ogni stato, ciascun partito rinuncerà a migliorare l’Europa, inoltrandosi per un cammino solitario, rinnegherà i valori per i quali si è costruita l’Europa.
In secondo luogo, nel mondo degli affari e dei mercati, l’Europa deve spendersi per gli indifesi sforzandosi di aiutare i governi a ridistribuire le risorse in misura equa fra chi ha meno. Nel rifiorire di economie ultra-liberiste, l’Europa non può tenere un tono servile nei loro riguardi della sola finanza né promuovere politiche che servono più al capitale che all’uomo.
Infine, la nuova Europa dovrà recuperare i valori dell’umanesimo cristiano che sono caduti in oblìo, dovrà sforzarsi per creare una nuova architettura istituzionale che sappia coniugare la sintesi tra i suoi valori fondanti e i suoi ordinamenti che devono essere meno burocratizzati e più democratici.
Nuove politiche economie, maggiore giustizia sociale, riscoperta dei valori fondanti l’unione sono principi per dare inizio di una nuova fase della storia dell’integrazione europea. Ho fiducia nella sapienza degli uomini: per questo non sono euroscettico, né tanto meno un eurocinico: sono solo un europeista allarmato della frattura esistente fra la realtà attuale dell’Europa e i suoi valori. Voglio, assieme a tanti altre donne e uomini, ricucire tale frattura.
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