Fine anno, fine scuola, fine primavera, e fine della rubrica Souvenir (per ora).
Ho iniziato per gioco, per rilassarmi, per dare una spolverata a quei diabolici angolini – di memoria – dove non arriva neanche il dyson, e gioire nel vederli risplendere di nuova luce.
Per tornare a sentirmi bambina, quando il sole splendeva di più e la primavera era più fiorita e le cicale d’estate frinivano più forte.
Perché – ma l’ho scoperto passo a passo – avevo bisogno in realtà di riassaggiare una speranza e una certezza buona che si sbrindellano con gli anni e gli addii, e come le briciole di Pollicino, che sai di avere seminato ma quando ti guardi indietro sono sparite, pensi di avere inspiegabilmente perduto.
Così mi sono buttata a capofitto in quei formidabili anni, cavando dal pozzo del ricordo le piccole cose consuete e inconsuete, cose di tutti e cose solo mie, di un tran tran che ha dello stupefacente a guardarlo con gli occhi dei nostri nipoti. Che, ahimè, non solo non sanno, ma non fanno neppure finta di interessarsene, non avendo il minimo senso della storia.
Mi sono divertita, come forse anche voi leggendo i miei sproloqui, e ho incontrato compagni di viaggio inaspettati e interlocutori attenti.
E, toh!, ho riconquistato una parte di me che avevo perduto, come Peter Pan con la sua ombra.
Ho capito di più della nostra generazione, che ha fatto – magari in modo cialtrone e squinternato – il leggendario ’68, e non si è persa, non ha travalicato, non si è data alla macchia; ma non si è nemmeno acciambellata sul termosifone come un gatto deluso e cinico, che ormai guarda i topi correre senza alcun sussulto.
Noi, io, quella speranza di cambiare il mondo in meglio, di costruire una casa più accogliente per l’umanità, di custodire le amicizie e gli affetti senza ipocrisie e finzioni, mi sono accorta – pensa! – che ce l’ho ancora. Il mondo è un casino? Okkey, giochiamo con quello che abbiamo. I politici sono impresentabili? Costruiamo nel piccolo e poi magari nel meno piccolo, e poi nel grande, un po’ come Madre Teresa che portava le sue goccioline insensate – all’apparenza – al grande oceano della carità: e ha fondato una miriade di nuovi mondi.
Però è più facile se abbiamo una radice forte, buona, aggrappata alla terra fertile, per poter guardare alla vita così (o almeno, come faccio io, a provarci). L’ho visto con chiarezza come in uno specchio, ricamando sulla tastiera aneddoti minimi e piccole abitudini domestiche, quanto sia debitrice la mia vita di quello che mi è stato dato da piccola e poi da ragazzina e poi da adolescente: quanto dai miei genitori, quanto dai miei amici, quanto dai miei preti (altro che don Camillo!).
E così, tornando indietro nel bosco, ho ritrovato le briciole: non le avevo perdute, erano solo rimaste in fondo alla tasca del grembiule…
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