Forze politiche sovraniste entreranno nel prossimo parlamento Europeo proponendosi non di lasciare l’Europa – ad esclusione della pattuglia guidata dal britannico Farange – ma di assoggettare l’Unione ai loro spietati progetti. A Strasburgo non ci riusciranno perché la maggioranza che si formerà sarà europeista, ma in sede di consiglio Europeo, che rappresenta gli stati, potrebbero inceppare il processo d’integrazione che molti auspicano essere di “cambiamento”.
Tre sono le cose che i sovranisti sanno, ma non comprendono: la natura istituzionale dell’Unione, i trattati che ne derivano, i benefici e gli obblighi che si ricavano dall’aver in comune una moneta.
All’indomani della seconda guerra mondiale, i paesi vincitori non inflissero solo sanzioni né riscossero solo risarcimenti dai paesi vinti, ma privilegiarono la ricostruzione e la cooperazione. Nacque così quella forma inedita di sovra-nazionalità concepita non secondo la logica della separazione dei poteri e che fu chiamata “comunità” (né federazione, né confederazione, né alleanza indipendente dagli stati). Con l’atto unico europeo s’iniziava la strada della cooperazione politica e dall’acronimo C.E.E. sparì la “E” che stava per “economica”. L’attuale Unione Europea nacque col Trattato di Maastricht (1992) e fu vittima, oltre che di nominalismo, della sottigliezza con cui era stata concepita. Con essa si voleva costruire qualcosa di solido che durasse nel tempo, il cui scopo mirasse a far prevalere in alcune competenze l’interesse generale europeo su quello nazionale. “Comunità” esprimeva molto bene i valori dello stare assieme e Jacques Delors, presidente della Commissione Europea, lottò perché tale denominazione non fosse cambiata in “Unione”. Condivido la sua opinione: il latino communitas contiene il riferimento al munus, termine che ha due significati: da un lato è il dovere, l’obbligo, il compito; dall’altro è il dono che si deve fare, non quello che si riceve. La comunità Europea è, come volevano i padri fondatori, l’insieme di popoli uniti non per il possesso, per la proprietà, per una mancanza, per una carenza, per un debito di ciascuno verso gli altri, ma per il desiderio di sfuggire alla precarietà, alla fragilità di ogni stato e per oltrepassare l’individualismo e ritrovarsi assieme per gestire il bene di tutti. Esprime bene questo spirito l’articolo uno del trattato di Maastricht: “L’Unione Europea si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.”
Questo spirito comunitario necessita di essere espresso da norme ben precise e fatte applicare dalle istituzioni riconosciute da tutti gli stati membri. Le norme obbligano anche ciascun partecipante alla comunità di rispettare tali norme, di applicarle e di evitare ciò che non è lecito, a pena di incontrare inefficienza, divisione se non il conflitto tra gli stati. È necessario, pertanto, il dialogo, la leale discussione, la necessità di fare tutto il possibile per scongiurare sanzioni, nel caso che i trattati sottoscritti vengano abusati o trasgrediti.
Le norme che riguardano le competenze proprie dell’Unione sono demandate alle istituzioni: il Consiglio Europeo, organismo che rappresenta i governi e nel quale necessariamente si manifestano molti egoismi nazionali, di cui spesso se ne fa una missione prioritaria. La Commissione poi ha il potere di fare proposte di leggi al Parlamento, ma soprattutto di essere la “guardiana dei Trattati”, cioè di valutare se i comportamenti degli Stati sono conformi ai Trattati. Il Parlamento, che ha il potere di formulare leggi spesso in co-decisione col Consiglio, nelle ultime elezioni ha acquisito un’importanza superiore a quella delle precedenti legislature perché in esso sederanno forze euroscettiche se non sovraniste.
Mi scuseranno i lettori se sono stato piuttosto pedante. Sono stato costretto a farlo per chiarire come le accuse rivolte dai sovranisti siano spesso prive di fondatezza.
Dirò subito che anche a me “questa” Europa non piace. Solo una revisione dei Trattati, che porti a istituire un vero Parlamento, rappresentante dei popoli, al quale affidare l’integralità di decisione, attualmente condivisa con i governi, potrà rendere l’Europa meno burocratizzata e più democratica. In secondo luogo, è urgente avvicinare i popoli europei con altri mezzi che non siano solo quelli dell’economia: si tratta di ritrovare la strada smarrita dell’Europa che chiede maggiori attenzioni per educare gli europei attraverso la cultura. Gli aspetti intellettuali, umani ed educativi dell’Europa vengono troppo spesso dimenticati: “Erasmus” non basta più, bisognerà investire di più nella ricerca, nelle arti, nelle storiografie denazionalizzate, nello scambio tra docenti, nell’auspicata fondazione di una università europea.
Accanto a questo, ciascuno stato dovrà capire che l’integrazione europea esige che si cambino le politiche nazionali. L’appartenenza ad un sistema monetario unico richiede che si allontanino il pericolo di un consumismo senza risparmio e la calamità di pretendere un potere pubblico senza tasse.
Bisogna dire la verità: l’utilizzo di una moneta unica esige politiche economiche e sociali che possono condurre all’austerità. Chi vagheggia un ritorno alla moneta nazionale è offuscato da un’insana nostalgia. Non tutto il male viene per nuocere: l’Italia, approvando il trattato che istituisce l’euro, si è posta nella condizione di dover accettare un cambiamento di una vastità che essa da sola non sarebbe stata capace di affrontare. La moneta unica ha segnato un progresso nella diffusione di valori come la disciplina del bilancio, l’oculatezza nella spesa, l’estrema urgenza di combattere la corruzione e l’evasione fiscale.
Le società europee sono percorse da tensioni dovute in buona parte ad una sempre maggiore diseguaglianza e all’aumento della povertà. La colpa di tale situazione non va ricercata nell’Europa dei cittadini, ma in quella dei governi che, anziché valorizzare le conquiste e avanzare compatti, si affannano scompostamente per riappropriarsi di un po’ di sovranità, anche se in realtà non sono più in grado di esercitarla efficacemente.
L’Europa sopravviverà solo se saprà ispirare dedizione, ma vi riuscirà solo se ogni stato si dedicherà a cooperare con ciascuno degli altri stati. I popoli sono già pronti!
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