Un nostro vecchio detto recita: “La pubblicità è l’anima del commercio” ed è stato coniato probabilmente quando le notizie venivano riportate solo dai giornali, confermando il valore divulgativo di questi fogli di carta allora costosi e preziosi, che erano successivamente destinati ad altre funzioni. Li ricordo usati per foderare il fondo di cassetti o il ripiano di scaffali. Al mercato della frutta le bancarelle li usavano modellati a cono come contenitori di ciliege, mele ed altro. Facile impacchettare con essi tanti oggetti. Nei gabinetti pubblici, anche i più eleganti, pigne di rettangolini di carta di giornale infilati in un grande gancio venivano usati come carta igienica (tralascio i commenti sulla robustezza dei deretani di allora). In tempo di guerra e subito dopo, modellati a palla dopo macerazione, finivano nelle stufe per riscaldare con magra efficacia le abitazioni. La carta di allora era molto diversa dalla attuale e si prestava quindi per le altre funzioni.
I libri scolastici erano più leggeri e dopo l’acquisto si passava parecchio tempo con il tagliacarte a liberare le pagine dei quinterni che li componevano. Libri austeri, poveri, senza immagini che venivano portati dagli studenti più grandi serrati da una cinghia elastica. Le cartelle erano usate dai piccoli, ma avevano molti usi: gioiose battaglie a “cartellate” o brevi scivolate sulla neve messa ai bordi delle strade.
Nel ‘900 era arrivata poi la radio, gracidante e con voci metalliche, ma capace di divulgare idee, notizie e pubblicità raggiungendo con efficacia e rapidamente le persone. Poi arrivò la TV con una impronta molto importante sui comportamenti sociali, sia in positivo che in negativo. Poi le radioline portatili. Poi la telefonia mobile, i computer, i P.C., gli smartphone, i tablet, tutto sulle onde magnetiche che avvolgono il nostro mondo. Dove c’è miseria, in Africa, non arriva il pane ma ci sono cellulari, TV, radio locali.
Con la divulgazione delle notizie anche la pubblicità si è fatta dovunque sempre più invasiva ed ossessiva, tanto che lo studio della comunicazione è diventato una scienza: la si studia nelle università. Professionisti in questa disciplina, molto ben pagati, sono responsabili di molti aspetti della odierna società caratterizzata dalla carenza, veramente grande carenza, di etica della comunicazione (il che balza all’occhio quando compaiono ad esempio scandali di pornografia). Le leggi sulla “privacy” sono facilmente calpestate. Invasione di hackers nell’anima telematica di ditte, banche, ministeri annullano troppo spesso i grandi vantaggi di queste tecnologie.
Si arriva oggi alla comunicazione della politica, tanto che ho sentito proclamare che la pubblicità è fondamento della politica, anzi: la politica è fatta dalla scienza della comunicazione.
Nel mondo politico non ci sono più contenuti di idee, che sembrano creare disagi, non più progetti, accantonati molti bisogni sociali, necessità di lavoro, equilibri economici che erano pane quotidiano della politica, ma resta roboante la comunicazione troppo spesso falsa e incontrollabile da parte del pubblico. Anzi la disinformazione è usata come arma politica. Avviene il controllo scientifico delle sensazioni e delle paure della gente – mediante le piattaforme tecnologiche- e si scalfisce l’equilibrio razionale esasperando le emotività, calpestando appunto l’etica comunicativa., favorendo l’insorgenza dei populismi fondati sulle “pance popolari” e non sulla cultura politica.
Il controllo e la stretta dipendenza dall’audience da parte dei mass-media, direttamente proporzionale con i costi e la resa della pubblicità, esaspera questi squilibri. Se un certo personaggio politico fa più notizia si dà più spazio a lui che ad altri, favorendo il suo gioco, enfatizzando le sue strategie, ridicolizzando o insultando gli avversari. Si crea una situazione di “pappa e ciccia”, di conflitto d’interessi che fa cadere il giusto equilibrio informativo.
Come detto, ad arte possiamo essere condotti lontano dalla realtà penalizzando volutamente la nostra libertà informativa. In poche parole: il pericolo del controllo della informazione è reale, come mostrano gli avvenimenti di certi paesi. Già da noi per [distorti] motivi economici, se voglio certe notizie, ad esempio di sport, devo usufruire di servizi a pagamento, che però possono facilmente selezionare e bloccare certi servizi informativi.
Ci troviamo di fronte ad una realtà sfuggente e drammatica: l’informazione diventa non servizio ma subdola arma di potere. La pubblicità non è più la semplice anima del commercio, ma con le capacità della scienza della comunicazione noi tutti veniamo manipolati, e immense sono le difficoltà di riuscire a difenderci. Si resta esposti a metodiche tiranniche che possono penalizzare il nostro vivere.
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