“Sovranismo s.m. Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione”: questa definizione del significato della parola “sovranismo”, che si ritrova sotto la voce «neologismi» nel sito dell’Enciclopedia Treccani, merita di venire considerata attentamente.
È infatti un’ulteriore prova, a suo modo autorevole, dell’equivoco con cui la cultura dominante cerca di esorcizzare la comparsa sulla scena e il successo in Italia della Lega, e altrove di partiti per qualche aspetto simili ad essa. In realtà non è affatto vero che ciò che caratterizza queste nuove forze, e quindi i loro elettorati, sia una linea “in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione”. La globalizzazione non è una scelta bensì uno puro e semplice dato di fatto del tempo in cui viviamo, e l’unione in qualche forma dell’Europa è un’urgenza storica che in quanto tale nessuna persona di buon senso mette oggi in discussione.
Basta d’altra parte andare a vedere ciò che Salvini dice di suo — e non ciò che i suoi avversari dicono che dice — per rendersi subito conto che riguardo tanto alla globalizzazione quanto all’Europa il suo non è un “no” ma un “sì”, beninteso a patto che il nostro Paese possa stare nell’una e nell’altra in modo molto diverso da come ci sta adesso. La pura e semplice “antitesi” di cui parla l’Enciclopedia Treccani, dando così eco solenne alle rabbiose invettive de la Repubblica, sarebbe innanzitutto una sciocchezza. Sostenere dunque che oltre il 34 per cento degli italiani, e più del 40 per cento di chi vive e lavora nel Nord Italia, una delle aree più sviluppate non solo d’Europa ma del mondo, sia costituito da una massa di stupidi non solo è una mancanza di rispetto per questi milioni di persone ma equivale anche a pretendere che la democrazia sia da buttare. E lo stesso vale analogamente per tutte le altre forze e personalità politiche in vario modo simili che da qualche anno si stanno affermando un po’ ovunque nel mondo delle democrazie, non solo in Europa ma già nelle Americhe e in Asia, e ora anche nella remota Australia. L’ordine costituito nato dalle ceneri della Seconda guerra mondiale sta venendo meno insieme alle forze politiche e ai blocchi sociali di cui era espressione. Come poi sempre accade nella storia, pure questa volta non tutto il nuovo che sorge è bello, e d’altra parte non tutto il vecchio che tramonta è brutto, ma in sostanza non è questo il nocciolo della questione.
È in tale quadro che si colloca il caso italiano. Qui il fronte delle nuove forze giunte in scena si articola in un partito “giacobino”, statalista e centralista, il Movimento 5 Stelle, e in un partito “girondino”, neo-liberale e autonomista, la Lega di Matteo Salvini. Il primo è inoltre rigorosamente laico nel senso francese della parola, quindi anti-cristiano (seppur a mezza voce per motivi tattici), mentre il secondo dà voce a una cultura di popolo che in particolare nel Nord Italia, suo principale bacino elettorale, è comunque prossima alla visione del mondo cristiana. Siccome nel concreto del presente si tratta di scegliere non fra la luce e le tenebre ma tra il meglio e il peggio di ciò che c’è, quale sia il meglio mi sembra evidente.
In tale situazione, mentre (quasi per un riflesso condizionato) quel poco che ancora resta del ceto politico cattolico continua a rimanere nei partiti in qualche modo eredi della Democrazia Cristiana, perciò in primo luogo in Forza Italia, gli elettori si sono già volti in massa verso la Lega. Stando così le cose, è a mio avviso il momento di domandarsi se, oggi come oggi, non valga la pena di verificare l’ipotesi della formazione di una componente di matrice popolare nell’area “girondina” di cui si diceva, sia essa dentro o accanto alla Lega secondo l’opportuno e il possibile. Sarebbe di certo cosa gradita alla massa degli elettori cattolici che votano Lega; anche la stessa Lega ne avrebbe però tutto da guadagnare dai più diversi punti di vista. Che il ceto politico cattolico già di lungo corso resti in vecchi partiti dove ha ancora elettori, continuando in essi una storia peraltro non priva di sorprendenti migrazioni, è senza dubbio giustificato e utile, ma oggi non più sufficiente.
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