Matteo Salvini vince e Di Maio perde, tanto che il leader leghista può ora sorridere all’alleato annunciando che assolutamente continuerà a sostenere il governo gialloverde mantenendo la parola data, ma con il piccolo particolare – ovviamente – che d’ora in poi l’agenda la detterà la Lega, altrimenti sipario.
È chiaro che il voto espresso per le europee non è stato un plauso all’intesa gialloverde (altrimenti i voti si sarebbero equamente divisi tra i due partner), ma una dimostrazione di fiducia nella concretezza del leader leghista delineando una pressante ipotesi di centro-destra unito e vincente, purché a trazione Salvini.
Questo risultato permette oggi al leader della Lega di avere tutte le carte in mano e imporre i tempi di una crisi così come di una ipotetica nuova maggioranza.
I tempi sono e saranno fondamentali: per una crisi di governo che portasse di fatto l’Italia a nuove elezioni politiche c’è da studiare e scegliere il momento adatto, ma Salvini può ora giocare al gatto con il topo sapendo che il M5S è stato messo nell’angolo e – comunque si muova – rischia di perdere ancora terreno, come dimostrato dalle crepe interne che cominciano a caratterizzare il Movimento.
Il successo leghista è però da gestire bene perché – se c’è un altro aspetto sottolineato da queste elezioni – è l’estrema volubilità e volatilità di un elettorato non più legato da schemi ideologici e quindi facilmente influenzabile dalla cronaca e dall’attualità.
Renzi è asceso ed è stato bollito in due anni e mezzo, i 5 Stelle in un anno soltanto hanno perso la metà dei voti: il successo va e viene, ben diversamente da una volta quando se un partito saliva (o scendeva) di uno zero virgola poteva cantare vittoria.
Tra i partiti è andata bene la Meloni con Fratelli d’Italia per una performance notevole anche a livello personale, male Forza Italia e Berlusconi che, raggiunto il pensionamento dorato a Bruxelles, dovrebbe ora avere finalmente il buonsenso di farsi da parte o assisterà al definitivo scioglimento e dissoluzione della propria creatura, ormai ridotta a meno di un terzo del tempo che fu.
Sullo sfondo tramonta anche l’estrema sinistra, ma certamente non il PD che segna un importante recupero soprattutto psicologico e che si concretizza nel voto dei comuni dove molti suoi sindaci sono stati riconfermati nonostante la transumanza verso la Lega di fette di elettorato anche di sinistra, ma capaci di distinguere tra voto politico ed amministrativo. Da sottolineare infine il successo dei verdi a livello continentale mentre in Italia non sono stati in grado di intercettare flussi di consenso.
Con queste promesse il punto fondamentale è capire se ci sarà presto o meno la crisi di governo. Il nodo sarà sciolto a breve verificando quanto i 5 Stelle saranno disposti a digerire agli ultimatum della Lega che – contratto alla mano – già chiede di decidere subito su quei punti (dalla sicurezza alla flat tax, alla TAV) che di fatto svuoterebbero la presenza di Di Maio & C.
Giustamente Salvini non invoca poltrone ma fatti, anche se è evidente l’incongruenza di una situazione dove i 5 Stelle hanno una presenza parlamentare e nell’esecutivo sopravvalutata rispetto al voto di domenica e quindi attraversano un momento di estrema debolezza.
Non si voterà certo ad agosto, ma il peso della legge finanziaria imporrà comunque tempi brevi per scelte di campo e i lettori si rendono conto da soli che le elezioni politiche si avvicinano.
Un pronostico? Estate di crescente tensione, autunno turbolento, scioglimento delle Camere a fine d’anno e voto in primavera. Vediamo se mi sbaglio…
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