Non nascondo di attraversare giorni di grande amarezza. Una lesione sottile fende il mio animo. Ho assistito al crollo del sogno europeo proprio in casa mia, l’Italia, uno dei paesi fondatori dell’attuale Unione che Spinelli, De Gasperi, Prodi hanno contribuito a realizzare.
La ricerca delle cause di quanto è avvenuto è diventata per me un’esigenza morbosa. Mi ero illuso che la mancata vittoria della destra in Svezia, Danimarca e Finlandia fosse il primo segnale che dimostrasse il riassorbimento del fenomeno sovranista, che la messa in stato d’accusa per violazione dei valori su cui si fonda l’Unione dell’Ungheria di Orbàn, raccomandata dal Parlamento Europeo, fosse il sintomo di un sussulto d’orgoglio, che la contorta uscita della Gran Bretagna con la relativa spaccatura dell’opinione pubblica britannica e il conseguente pericolo di scissione all’interno dei due maggiori partiti con la dichiarata secessione della Scozia fossero avvertimenti da non sottovalutare, che la vittoria in Slovacchia delle forze europeiste, che sembravano invincibili, fosse l’inizio di un nuova Europa. Mi sono sbagliato. Che cosa è successo?
Anzitutto la politica per l’Europa è stata assente. Non ho sentito programmi, non ho ascoltato proposte, non ho appreso progetti che i partiti o movimenti intendono portare a livello europeo. Niente sui grandi problemi che si possono affrontare solo se uniti, niente sulle prospettive economiche, fiscali, niente sul rilancio dell’Europa. Non è stata una campagna elettorale che guardava al futuro, ma tutta concentrata sulle politiche interne. I nostri politici non sono stati sollecitati a parlare di politica europea, a motivare con argomenti e non con slogans senza spiegazioni la loro presenza a Strasburgo. L’unica motivazione è stata dettata dalla convenienza ideologica da bassa combriccola: “Prima di tutto gli italiani…” – “Padroni a casa nostra” – “Rivolteremo l’Europa come un calzino…” – “Bruxelles? E chi se ne frega…”: ad una globalizzazione imperante e che abbisogna di regole, ad un pericolo dominante di autarchismo si è fatto ricorso alle bagattelle della chiusura, della paura, del sovranismo e il proprio partito ha prevalso sul bene pubblico, la parte sulla nazione, la chiesuola sull’universalismo cristiano.
Credevo che la politica fosse per tutti un confronto leale tra progetti alternativi, una gara per migliorare lo sviluppo del continente. Ed invece si è tramutata in lotta, in menzogna, in scambio reciproco di accuse, nella creazione di un clima di paura. E l’elettore ha votato per paura del peggio, non per amore del meglio, sprecando così un pezzo di vita, accettando di vivacchiare piuttosto che preoccuparsi di vivere. Alcuni hanno paura perché temono di perdere la loro identità, ma chi ha raggiunto piena sintonia con se stesso non ha paura della paura. Si è comunicato questa paura con i twitter e ciò non rappresenta progresso, ma barbarie. E la paura s’identifica con un nemico: stavolta è Bruxelles! Scaricare su un nemico tutti i problemi che non si sanno risolvere è un modo per sfuggire alle proprie responsabilità.
Essere sovranisti ed europei è un’antinomia perché l’Europa è stata fondata proprio sulla cessione di parte della sovranità nazionale ad un’autorità sovra-nazionale: la Comunità Europea. Si è incominciato attribuendole la sovranità sulla produzione del carbone e dell’acciaio, poi sui prodotti dell’agricoltura e della pesca, creando un grande mercato unico che ha abolito i dazi, togliendo i confini per la libera circolazione delle persone e dei capitali, creando una moneta unica. Senza cessione di competenze nel campo economico e finanziario non c’è Europa.
La causa di ciò va ricercata nella mancata comunicazione sui valori fondanti l’Unione: l’Europa non è una forza a cui si ricorre alla ricerca di una raffinata opulenza economica, come credono i paesi dell’est. Non è neppure uno spazio che risolve i problemi interni garantendo un libero mercato e la sicurezza come vorrebbero i britannici e i paesi scandinavi. Essa è una comunità basata sui valori politici e spirituali espressi e praticati nella storia dell’Europa moderna, ultimamente poco ribaditi, spesso rielaborati, ma essenziali al processo d’integrazione europea. Certo molto resta ancora da fare, ma si badi bene a non buttare via con l’acqua sporca anche il bambino!
Se si continua ad aumentare il debito pubblico, se l’evasione fiscale è imponente, se il danaro pubblico viene amministrato non con oculatezza, ma solo per soddisfare promesse elettorali che non si possono mantenere, di chi è la colpa? A quanto pare i nostri politici non danno risposte veritiere a queste domande, sfuggono il tema, si trincerano dietro al “vedremo”!
Con la falsificazione della parola ogni altro argomento viene tradito. La violenza della parola corrompe gli animi e semina rancore; una pretesa di autosufficienza e una eccessiva sicurezza di sè potranno portare a danni incalcolabili per tutto il sistema politico.
Vorrei che la parola detta dal politico non fosse suscettibile di molteplici interpretazioni, ma conservasse la linearità e la chiarezza dell’uomo onesto; che mirasse pur al consenso, ma senza l’ossessione di ottenerlo al prezzo di sedurre l’altro, di dominarlo con la forza di urla che non danno spiegazioni, di possedere la massa, di manipolarla, si renderla strumentale alla propria sete di potere.
Si è arrivati al punto tale da strumentalizzare la fede, di brandire rosari, crocifissi e vangelo, di preoccuparsi per la mancata valorizzazione del presepio. Anche nei covi dei mafiosi ricercati si sono rinvenute immagini sacre, di statuine di santi tutte esalanti forme della tradizione sacra. Vera Tradizione è la salvaguardia del fuoco che riscalda i cuori, illumina le menti, non l’adorazione delle ceneri.
Che fare? Chi ama l’Europa deve elaborare una politica in grado di disarticolare il fronte antisistema, riassorbire il fenomeno sovranista con una buona comunicazione e ingaggiando una forte politica sociale per rendere meno fragili ampie quote di popolazioni. Temo, però, coloro che cominciano a dare segni di cedimento all’estrema destra e alla sinistra rassegnata.
E i cattolici? Essere vigilanti, discernere, alzare anche la voce perché solo così “si creerà con il marcio letame il concime perché il bene del nuovo emerga”. (Giovanni Testori)
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