Il premier Conte che fa una conferenza stampa invece di colloquiare nel Consiglio dei ministri con Salvini e Di Maio e/o presentarsi in Parlamento non vìola soltanto la buona regola politica e istituzionale. Infrange l’ipocrisia che avvolge il nebbioso traccheggio governativo. Spiega che i problemi ci sono, e nessuno li sa o vuole risolvere. Siamo in continua modalità Propaganda live, molte chiacchiere pochi fatti. E voglia zero d’assumersi l’incombenza (etica, prima che politica) di dire agl’italiani: vi aspettano sacrifici, cioè tasse, gabelle, cinghiastretta, ripristino dell’abolita (?) povertà. Questione di minima pazienza, dopo l’estate sarà l’ora di raccontare il vero, menando poi stangate massime.
Ecco perché né l’uno né l’altro dei vicepremier intende farsi beccare nel ruolo di chi aveva promesso e non è capace di mantenere. Ovviamente non possono dichiarare l’intento, e invece debbono adoperarsi al fine che la scomoda parte tocchi all’amico/rivale. Il trucco, ormai scoperto, dura da un pezzo e durerà ancora. Più il momento decisivo si sposta in là e meno ci si augura di pagare dazio, tirando fuori all’occasione (il refrain è un classico) la solita storia dei poteri forti: se i mercati finanziari ci puniranno per la nostra insipienza, la colpa ricadrà sui cattivissimi d’Europa. E l’Italia costretta a far quadrare i conti scassati rivolgendosi al supertecnico di turno (Cottarelli, Draghi?) piangerà lacrime di peloso vittimismo.
Forse questo modesto ragionamento non è estraneo alla posizione assunta dal presidente del Consiglio, passato da un compromesso a quello successivo pur d’obbedire a Lega e Cinquestelle, ma infine consapevole dell’imminente sfascio e voglioso di allontanare da sé il marchio d’esserne l’autore numero uno. Non solo: dissociandosi per un verso da Salvini e per un verso da Di Maio, egli si autopropone come il disponibile replicante di sé stesso. Nell’ipotesi d’avvento di tecnici a guida d’un governo d’emergenza nazionale, Conte ritiene di non essere escluso dalla gara: competition is competion, se ne facciano una ragione quelli che l’hanno sponsorizzato alla carica ricoperta dal giugno dell’anno scorso a oggi, cucendogli addosso la maglia gialloverde.
Riassumendo. Avremo elezioni anticipate, si tratta di capire quando. Avremo qualche lista nuova (Calenda, Conte medesimo?). Avremo nelle more tra un esecutivo politico in uscita e un esecutivo politico in entrata la transizione professorale necessaria a imporre misure anti-fallimento dello Stato. Queste misure non ce le impone Bruxelles, ce le siamo imposte da soli dando il consenso a un populismo/sovranismo mosso da irrazionali paure sulle quali hanno soffiato (e continuano a soffiare) le fiamme della demagogia. La crisi ufficiale di governo non c’è ancora, ma verrà. La trattengono, al momento, gl’interessi personali: i parlamentari che, mandati a casa, non verrebbero rieletti; i ministri e i vice che, bocciati, non sarebbero più promossi ad alcunché; gli occupanti dei posti di sottopotere che, privati d’un tale privilegio, rientrerebbero nell’anonimato. Ma lo spettro del default economico farà aggio su tutto, svelando l’infinita serie di bluff d’un giro di carte che non avrebbero dovuto esser mai date.
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