Gesù, terminata la sua impresa, siede alla destra del Padre; i discepoli, invece, iniziano il loro cammino in direzione di tutta la terra. Celebriamo dunque due partenze: quella del Signore verso l’intimo e il profondo; quella degli apostoli, prima ‘chiesa in uscita’.
E’ Cristo che opera con loro (e oggi con noi) in ogni gesto di bontà; in ogni parola fresca e viva è Lui che parla; in ogni impegno per la pace è Lui che edifica la civiltà dell’amore!
Se il fulcro della nostra vita è il vangelo, che si incarna nella storia, e se il compimento del vangelo è la risurrezione, l’appello etico che proviene dalla fatica quotidiana è quello di produrre dentro la storia stessa momenti di riscatto, «pasque di risurrezione» umane.
È nella testimonianza della nostra fede che la nostra vita diventa segno della presenza di Cristo nelle nostre comunità (Giovanni Paolo II). Una regola che vale per tutti: dobbiamo operare insieme, in nome della carità cristiana che non tollera indugi: Caritas Christi urget nos, secondo l’esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per le pecore.
Nel mondo di oggi si può evangelizzare grazie ai veri testimoni della fede, che parlano con la propria vita, in ogni occasione, giocando tutto se stessi, per aprire cammini di comunione e suscitando il desiderio e la fragranza di cose belle, genuine, alte.
Noi cristiani dobbiamo essere uomini e donne di speranza e di luce in un mondo denso di tenebre. Riascoltiamo il consiglio di Paolo VI: “L’evangelizzazione contiene anche la predicazione della speranza nelle promesse fatte da Dio nella nuova alleanza in Gesù Cristo; la predicazione dell’amore di Dio verso di noi e del nostro amore verso Dio; la predicazione dell’amore fraterno per tutti gli uomini – capacità di dono e di perdono, di abnegazione, di aiuto ai fratelli – che, derivando dall’amore di Dio, è il nucleo del vangelo; la predicazione del mistero del male e della ricerca attiva del bene’ (Evangelii nuntiandi, n.28).
Invece siamo ancora troppo attaccati allo scoglio, alle nostre certezze… ci piace stare rintanati, ci attira l’intimità del nido… ci terrorizza l’idea di rompere di ormeggi e uscire in mare aperto… di qui la ripetitività, l’atrofia per l’avventura, il calo della fantasia.
Ma chi crede, spera, ama, si incarna nella storia, non fugge; costruisce il futuro, non lo attende soltanto; ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma; ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare! Dio ci salvi dalla presunzione di sapere tutto, dall’arroganza di chi non ammette dubbi, dalla durezza di chi non tollera ritardi, dal rigore di chi non perdona debolezze, dall’ipocrisia di chi salva i principi e… uccide le persone.
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