C’è il bimbo tranquillo che si addormenta sul tappeto con le macchinine in mano – il mio nipotino svizzero di tre anni – e c’è l’agitatissimo che salta sul letto fino allo sfinimento di mamma e papà – un secolo fa, il mio primogenito -.
Ma tutti i bimbi in qualche modo vanno consolati durante il passaggio dal giorno – la vita – alla notte, parvenza di ben altro sonno.
Per questo avevano inventato la culla a dondolo, che bastava una spinta e ondeggiava un bel cinque minuti facendo scricchiolare il vimini di cui era intrecciata; o il lettino con le rotelle, avanti e indietro avanti e indietro, un po’ più impegnativo ma trasportabile; o la carrozzina dei miei tempi, con quattro ruote da far invidia a una dune buggy, talmente molleggiata che un tocco solo la faceva danzare come un veliero.
Comodi, questi giacigli, lo erano di certo: sotto tutto, un’imbottita di crine “per igiene”, come sentenziava la nonna. Sopra, il materasso di lana, trapuntato a dovere; poi la materassina per non sentire i bozzi della lana; e ancora la traversa di gomma isolante, ricoperta di flanella assorbente per non far sudare; e infine il lenzuolino di sotto e quello di sopra, ovviamente ricamati come la federina, sui quali si acconciava una coperta leggera o una trapunta di piuma rivestita di raso, a seconda della stagione, ma sempre bloccata ai lati dalle cinghie perché il pargolo non si scoprisse nella notte. E magari un baldacchino di trina e pizzi, tanto romantico e tanto cattura-polvere.
Quando cominciavi a reggerti in piedi, la culla cedeva il posto al lettino di ferro dipinto in rosa o azzurro, alto dal pavimento un bel metro abbondante a misura di prendi-in-braccio-il-pupo, con due sponde agganciabili su cui si tendeva una rete in cotone, anch’esse in tinta col letto; e lì era uno spasso incastrarci le dita, i pupazzi, i biscotti Nipiol, il ciuccio e perfino il nasino. O, per i più avventurosi, tentare di arrampicarsi verso la libertà.
Ma non c’è nanna che non abbia bisogno di una consolazione contro i timori della notte e dell’abisso ignoto del sonno; così tutti abbiamo avuto la nostra copertina di Linus, per accompagnare con dolcezza il cuore nell’oscurità dell’incoscienza; e tutti i nostri bambini ancora oggi si inventano la propria.
Noi in famiglia abbiamo avuto un Bubi, un Bimboarancione, un golfetto sudicio, un biberon di latte, la nocca del dito indice, il nastrino del bavaglio, il classico ciuccio: tutti quanti riuniti nella categoria dei “Nenè”, un liso fazzoletto verdolino con barboncini bianchi e neri che mio fratello – più di sessant’anni fa – si stropicciava sul nasino a mo’ di ninna nanna. Io invece (pare) mi ciucciavo le treccine.
Una speciale coccola si è conservata nel tempo, e non può mancare nella cameretta: una lucina fioca per sconfiggere il buio. Un tempo era un angioletto, un paralume, una sfera smerigliata, dentro cui ardeva una minuscola lampadina da due o tre candele, come forse non ne fabbricano più.
Oggi esiste un nuovo fantastico sistema che per me vince l’oscar del lumino notturno: stelline fosforescenti da appiccicare a decine, a centinaia, sul soffitto della cameretta.
Un cielo su misura, auspicio di sogni bellissimi.
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