Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Noterelle

FATICA DI VIVERE

EMILIO CORBETTA - 31/05/2019

faticaLa vita è dura. Noi l’apprezziamo e spesso la diciamo “bella” perché la stiamo vivendo, perché è la nostra esistenza, è il nostro essere comunque sia. Ci può apparire attraente, ma è difficile riuscire a viverla bene, perché ci è difficile essere obiettivi, ci è difficile scegliere come viverla: in effetti siamo noi che la viviamo o lei che vive noi? La vita ci dona tutta una serie di fattori che ci condizionano, per cui la nostra personalità assume un aspetto piuttosto che un altro; può apparire attraente o antipatica sia per le doti che ci sono in noi, ma per quello che ci viene buttato addosso dalla società in cui viviamo. In effetti tutti sappiamo che le nostre personalità sono formate da nostre doti originali e da fattori che vengono dall’ambiente e dalla società in cui siamo immersi.

Noi abbiamo una nostra antica preghiera che recita “…ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano, conservato …”Queste parole sottolineano quanto sia importante l’essere nati in un luogo piuttosto che in un altro per avere una certa cultura. Se fossimo nati in un altro luogo del Mediterraneo, piuttosto che ai piedi delle Prealpi, saremmo stati influenzati da altre culture ed avremmo da affrontare ben altri problemi, molto diversi, per “campare”. Sto accennando a fattori che influiscono sulle caratteristiche e sull’evoluzione delle nostre vite su cui sono stati fatti tanti studi e scritte pagine e pagine.

Eppure ognuno di noi si sente unico, originale, diverso dagli altri. È vero: ognuno di noi è tale. Nel nostro dialetto ci sono parecchi detti che definiscono efficacemente questo fenomeno: “Te set un uriginal vacca”, “te set un cuzun”, “Bastian par ul cuntrari”, “te set propri un cruat” (dall’800 quando c’erano gli austriaci) e così via. Ognuno è unico ma nel contempo sente il bisogno di far parte di una famiglia, di essere in una comunità. Sente il bisogno di essere in un “branco” ma nel contempo di essere in competizione con i componenti del “branco stesso”. Eterna dicotomia “amore-odio”.

Anche le generazioni, pur dipendendo l’una dall’altra, sono diverse nel modo d’agire, già solo per quanto riguarda gli oggetti che utilizziamo; un esempio: Manzoni scriveva con la penna e sono famose le correzioni fatte sui suoi manoscritti. Umberto Eco, partito dalla penna e dalla macchina da scrivere, evolve nel computer (ha scritto pure un trattatello su questo) e come lui molti giornalisti attuali hanno faticato in questa evoluzione. I miei amici giovani con facilità e con efficacia “sono” nelle moderne tecnologie, le usano disinvoltamente, ci scrivono con profitto. Secondo uno studioso della fisiologia cerebrale, il loro cervello ha contatti sinaptici diversi da quelli della generazione precedente. Bambini che sentono in famiglia parlare più lingue le apprendono tutte. Questo conferma quanto gli stimoli esterni influenzino il lavorio dei nostri cervelli e di conseguenza le nostre personalità; ma ovviamente ci sono anche le doti innate.

Questi esempi, anche se un poco banali, mostrano che la “fatica” nostra per vivere, “per sbarcare il lunario” – come molti amano dire – deve essere continua ed attiva sempre e cambia continuamente dall’infanzia alla vecchiaia. È dura, ma deve essere sempre attiva la capacità di sapersi difendere dalla pigrizia o “accidia” che diventa minacciosa col passar degli anni. È dura la lotta degli anziani per tramontare meglio che si può, come è dura la fatica per stimolare continuamente il fisico, affinché reagisca al suo giusto ed inevitabile decadimento.

Attenzione: anche qui ci sono quelli che ti fregano, quelli che intravvedono il ” business”, quelli che trasformano le sofferenze altrui in un motivo di guadagno, sia a livello organizzativo del “welfare” che a livello di contatto diretto con chi “ha la vita dura” e sta lottando. È inevitabile che chi è a contatto con i pazienti ha bisogno di giuste attenzioni perché più stressato di altre figure professionali, ma va anche sottolineato che in certi siti non esiste il mansionario o per lo meno se c’è deve essere molto molto elastico. Io ricordo caposala fare la pulizia accanto a figure addette a questo: davano un esempio validissimo, insegnavano a fare le pulizie e pulivano meglio! Conoscevano il valore dell’igiene. Ho visto anche medici con la scopa in mano, quando era necessario e non s’invocava la frase “questo non mi compete”, come ho sentito troppo spesso ripetere.

Il buon senso ci dice che in funzione dell’età si affrontano battaglie diverse, che l’anziano si batte per mantenere vivi ed efficaci i suoi sensi, essendo loro i mezzi che danno la spinta al suo cervello per restare vivacemente pensante, azione molto necessaria per la qualità della vita. A questo punto vien da sottolineare che questo buon senso non esiste in chi dirige la sanità ed è più che condannabile allungare artificialmente le liste d’attesa per difendere i bilanci. Più importante difendere la borsa o la vita unica dei poveri diavoli che hanno ancora un residuo dovere di poter godere le ultime ore di questa loro – ripeto e grido – unica vita?

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login