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Storia

MARTIRIO O NICHILISMO

LIVIO GHIRINGHELLI - 24/05/2019

guerrasantaNella religione di Israele, nella prassi giudaica vigeva l’imperativo, consolidato, dell’impossibilità di pronunciare il tetragramma JHWH vocalizzandolo. A Mosè che accetta di essere inviato a compiere la missione di liberare il suo popolo dall’Egitto, dalla schiavitù, e che si sente autorizzato a chiedere la rivelazione del suo nome, Dio risponde in modo misterioso ‘Ehjeh ‘asher ‘ehjeh: Io sono colui che sono (si potrebbe tradurre legittimamente “sarò colui che sarò”). È una rivelazione e al contempo un nascondimento. Il Signore è sempre al di là del suo rivelarsi. A Giacobbe che domanda di conoscere il nome dell’essere potente, con cui ha lottato tutta la notte, “Dimmi il tuo nome ti prego” e che sollecitato gli rivela il suo nome, il Signore non si pone in termini di bilateralità e si rifiuta di svelare il proprio: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e gli uomini e hai vinto”. Il nome di Dio coincide col suo essere, il significante è esso stesso il significato, non è simbolo, non rinvia a un’alterità categorialmente praticabile. L’impronunciabilità del nome coincide colla potenza. Ma al contempo il Dio trascendente si incorpora nella storia di Israele facendone il popolo prediletto. Anche se il mondo non è la sua dimora, Egli ne è la dimora. Va alla ricerca dell’uomo e non viceversa (Mosè) e il patriarca obbediente può solo rispondergli Hinneni (eccomi). Dio propone i suoi comandamenti, non li impone, perché garantisce la libertà dell’accettazione, dell’obbedienza.

Il Dio dell’Antico Testamento diviene nazionale, guerriero e vendicatore (Es.15,3), comanda egli stesso ostilità e massacri (Deut. 20, 10-14). Il Nome è catturato nella violenza identificatrice (nera luce del mistero di Dio). Il Cristianesimo si appella invece al pacifismo delle beatitudini. Mt.10,34 dice però di Cristo: “Non sono venuto a portare la pace, ma la spada”. In Gv. 18, 36-37 c’è un netto rifiuto del messianismo politico. Se in Pietro verso l’imperatore, pur pagano (1 Pt. 2,13-17) e il suo potere è predicata l’obbedienza, di Paolo è nota l’asserzione (Rm. 13,1) “non est potestas nisi a Deo”, ma è chiara l’impostazione apocalittica del suo pensiero, con la conseguente svalorizzazione della politica. Quando intervengono le cruente e implacabili persecuzioni, ecco da parte dei cristiani, anziché reazioni, i numerosi casi di martirio, d’eroica accettazione. La nuova religione rifiuta quella di Roma, pur accettandone la tradizione politica e la sua forma giuridica. Tertulliano fa registrare un mutamento in senso non violento dall’Apologetico al De corona, al De idolatria. Con Ireneo, Origene ed Eusebio si ha un lealismo imperiale teologicamente fondato. Per Eusebio, dopo la svolta costantiniana, Cesare è immagine umana della divinità. Costantino, grazie all’apparizione celeste e al suo hoc signo vinces riesce a farsi riconoscere come il tredicesimo apostolo. La croce diventa un vessillo destinato nei secoli ad essere contrapposto ad altri vessilli. A spese della dimensione escatologica e profetica non c’è più transitorietà come in Paolo in attesa del rinnovamento dell’eone, bensì nasce e si perfeziona una teologia politica cristiana, che contempla una gerarchia permanente del potere.

Ambrogio teorizza la supremazia della religione sulla politica. Papa Gelasio (496) enfatizza la distinzione fra la sacra auctoritas rivendicata per il Papa, titolare della mediazione fra il cielo (fonte suprema dell’auctoritas) e la terra e dall’altra parte la regalis potestas dell’imperatore (alla base della teoria delle due spade). Corrono secoli di reciproche strumentalizzazioni fra istituzioni politiche ed ecclesiastiche. Le due istanze (Chiesa-Impero, quindi Chiesa-Stati) risultano divise solo dal desiderio di appropriarsi della trasposizione del nome di Dio dalla liberazione alla dominazione in regime di monopolio. I soldati dell’impero romano e bizantino vanno all’attacco al grido di Deus nobiscum; l’Impero carolingio conduce vere e proprie guerre religiose contro Sassoni e Avari. Non ordinate direttamente da Dio, ma proclamate in suo nome dalle autorità ecclesiastiche, sono condotte le campagne contro gli eretici, nemici della verità. Nella prima metà del quarto secolo Firmico Materno chiede all’imperatore Costanzo di perseguitare i pagani (De errore profanarum religionum).Guerra santa è per i Papi Leone I e Gregorio Magno quella indetta contro gli eretici (nemici interni della Chiesa). Innocenzo III bandisce la crociata contro gli Albigesi (1209-1229). L’eresia è interpretata anche come un crimen maiestatis, Alla crux cismarina, ora citata, si accompagna la crux transmarina.

L’ideologia della crociata si è già formata nel nono secolo. Col Dictatus Papae del 1075 l’auctoritas pontificia si trasforma in potestas (la Chiesa si sente obbligata a reggere direttamente le cose del mondo). Nelle crociate dell’età gregoriana l’uso della croce come vexillum diventa l’elemento identitario del cristianesimo. La liberazione di Gerusalemme dal potere islamico (prima crociata) riveste una sacralità sovraeminente (modello non è tanto l’Esodo, quanto la guerra condotta da Giosuè per la conquista della terra promessa). Deus vult (per voce di Urbano II) è l’emblema, l’imperativo delle Crociate, siamo alla santificazione della violenza. Il culmine dell’ideologia è toccato con Bernardo di Chiaravalle: si tratta di un’avventura spirituale, oltre che bellica, pro remedio animae, medicina e conversione radicale. La crociata è in sé atto buono, fonte di grazia (De laude novae militiae, 1129-1136). Il nuovo tipo di miles christianus unisce il monaco e il guerriero (siamo lontani dalla cavalleria tradizionale e dalla sua vanitas).

Le guerre civili di religione del XVI e del XVII secolo sono guerre sante, antieretiche, da parte cattolica: di pari entità e crudeltà è la risposta da parte riformata. La Vergine Maria è elevata al rango di generalissima delle armate antiprotestanti. Se la formazione di leghe sante e l’indizione di crociate nell’età moderna sembrano cadute in disuso, lo spirito relativo (costruzione di un’identità che si oppone al nemico demonizzato) ha preteso di legittimare e trasfigurare ancora molte guerre. Nell’aprile del 1939 la vittoria franchista nella guerra civile spagnola è salutata da Pio XII con un riferimento all’eroica Spagna “nazione scelta da Dio come strumento principale di evangelizzazione del Nuovo mondo”. Viene santificata a ritroso quella evangelizzazione coatta con il suo corteggio di violenza e di sterminio. E fa senso la vicenda del motto dell’Ordine teutonico (formalizzato alla fine del XII secolo e impegnato nelle crociate baltiche) Gott mit uns, fatto in seguito proprio dagli Hohenzollern per l’esercito tedesco, prima prussiano e poi nazista.

Al concetto di guerra santa si accompagna quello di guerra giusta, in cui il nome di Dio vale come idea di giustizia e non come potenza. La dottrina della guerra giusta, riparatrice, è presente in Lutero su basi teologiche agostiniane. Gli Stati moderni ne cercheranno la giustificazione tanto nella ragione umana, quanto nei simboli religiosi. Solo con la Pacem in terris (1963) la Chiesa supererà, almeno nella contingenza, la nozione di guerra giusta, largamente operante nell’insegnamento e nella prassi delle gerarchie.

Nell’età della globalizzazione la teologia politica pare abbia del tutto esaurito in sé la potenza del nome di Dio; ma questo invero ritorna colla riscoperta delle radici cristiane dell’Europa e degli Usa, coll’istanza della rifondazione cristiana della società ; il Cristianesimo fa della carità il principio di una presenza pubblica non dogmatica, ma attiva, battendosi in una perenne lotta contro gli adoratori idolatri del vitello d’oro, contro i meccanismi alienanti dei processi di autonomizzazione del denaro, del successo economico ed i vizi del relativismo e dell’individualismo sfrenato.

Anche se il terrorismo non è sempre e soltanto di matrice religiosa, è indubbio che ancora nel terrorismo a sfondo religioso si manifesta l’uso identitario ed escludente del nome di Dio contro un nemico satanizzato e spersonalizzato. Il giudizio di Dio è già avvenuto nella mente del terrorista. L’escatologia è trasposta nell’immanenza e la liberazione genera solo distruzione. La gloria del Nome si rovescia nel fantasma di una immaginazione paranoide. Martirio o criminale nichilismo? Oggettivizzando e strumentalizzando il nome di Dio non si deve reificare e alienare anche il nome dell’Uomo.

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