“Credo che solo la Bibbia sia la risposta a tutte le nostre domande – ha scritto Dietrich Bonhoeffer – e che noi dobbiamo solo interrogarla con assiduità e con un po’ di umiltà, per avere la risposta”.
Non si può semplicemente leggere la Bibbia come qualsiasi altro libro. Dobbiamo imparare ad interrogarla realmente: solo così essa si fa capire. Solo se noi aspettiamo una risposta ultima, essa la dà. Ciò dipende dal fatto che nella Bibbia Dio parla a noi. E su Dio non si può semplicemente riflettere per conto proprio, ma lo si deve interrogare. Solo se noi lo cerchiamo egli risponde.
Naturalmente si può leggere anche la Bibbia come ogni altro libro, dunque dal punto di vista della critica del testo eccetera. Non c’è assolutamente niente in contrario. Solo che questo non è l’uso che svela l’essenza della Bibbia, ma ci dà solo la superficie.
Solo se finalmente osiamo rimetterci alla Bibbia, come se qui realmente parlasse a noi quel Dio che ci ama e che non vuol lasciarci soli con le nostre domande, avremo gioia nella lettura della Bibbia.
Condizione ideale per comprenderne le parole è il silenzio, che consiste talvolta nel tacere, ma è comunque sempre chiede di ascoltare. Un’assenza di rumore che fosse vuota della nostra attenzione alla parola di Dio non sarebbe silenzio.
Come pure una giornata piena di rumori, di voci, di passi, può essere una giornata di silenzio se il rumore diventa per noi l’eco della presenza di Dio, se le parole sono accolte da noi come messaggi e sollecitazioni di Dio.
Quando parliamo di noi stessi, quando parliamo tra noi, usciamo dal silenzio. Quando ripetiamo con le nostre labbra gli intimi suggerimenti della Parola di Dio nel profondo di noi stessi, lasciamo il silenzio intatto. Il silenzio non ama la confusione delle parole.
Sappiamo parlare o tacere, ma non sappiamo accontentarci delle parole necessarie. Oscilliamo senza posa tra un mutismo che affossa la carità ed una esplosione di parole che svia la verità.
«Il silenzio è carità e verità. Esso risponde a colui che chiede qualcosa, ma non dà che parole cariche di vita.
Il silenzio, come tutti gli impegni della vita, ci induce al dono di noi stessi e non ad un’avarizia mascherata. Ma esso ci tiene uniti per mezzo di questo dono. Non ci si può donare quando ci si è sprecati. Le vane parole di cui rivestiamo i nostri pensieri sono un continuo sperpero di noi stessi.
“Vi sarà chiesto conto di ogni parola”. Di tutte quelle che bisognava dire e che la nostra avarizia ha frenato. Di tutte quelle che bisognava tacere e che la nostra prodigalità avrà seminato ai quattro venti della nostra fantasia o dei nostri nervi» (Madeleine Delbrêl).
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