Varese, un nome come un marchio, che oggi chiamerebbero brand leader, lo è stata fino ad un tempo non lontano. Anche a memoria di uomo, senza ricorrere agli archivi, chi non ricorda i fasti sportivi della Ignis che con basket, ciclismo, pugilato aveva portato il nome di Varese oltre i confini nazionali ? Un nome che si confrontava con Mosca, Madrid, Atene, Praga e altre note città del continente. Tutto era giunto al seguito di un grande successo di impresa nel campo degli elettrodomestici in cui Ignis ebbe modo di competere coi più storici ed affermati marchi del settore.
Non che fosse sconosciuto il nome della nostra piccola città ma era ricordato soprattutto tra le mura quasi domestiche o di vicinato. Da sempre voleva dire Sacro Monte per i pellegrinaggi, città giardino per i suoi parchi e ville diffuse, aria salubre per i milanesi agiati o meno, stupendi paesaggi immortalati da artisti e letterati di grande fama. Più prosaicamente il nome di Varese era legato in tutta Italia alla eccellenza delle sue calzature, delle sue pelli, delle sue valigie, della sua antica carta e anche degli interruttori elettrici che innovavano i vecchi impianti.
Poi il declino, lento ma continuo. Si spegneva la grande V con le luci che salutavano chi arrivava in città di sera e segnalava il percorso delle funicolari del Campo dei Fiori e del Sacro Monte. Un anticipo anche della chiusura delle ferrovie tranviarie che collegavano a Luino e a Ponte Tresa e che avevano tenuto aperto un collegamento a Nord verso la Svizzera. Si accentuava l’isolamento di Varese e del varesotto dalle grandi direttrici internazionali.
Si spegneva, questo il dramma, anche la voglia di dedicarsi alle loro fabbriche da parte di numerosi eredi dei vecchi capitani d’industria. Nuove generazioni che all’impegno e al rischio dell’impresa passavano la mano dirigendosi verso presunti settori più lucrativi in campo finanziario od immobiliare. Veniva abbandonato al declino quello che era stato un comparto produttivo spontaneo, nato non per decreti ma per l’intraprendenza di famiglie come quelle dei Cattaneo e dei Trolli, che nel trattamento delle pelli e dalla loro trasformazione avevano creato una meravigliosa filiera. Questa fuga non poteva che trascinare all’estinzione le numerosissime e fiorenti piccole e medie aziende dell’indotto.
Si potrebbero citare a diecine con nomi e cognomi, altri esempi di intraprendenza varesina portata nel mondo a cominciare dai titolari di fabbriche metal meccaniche di macchine utensili acquistate e copiate dai giapponesi.
Va detto pure che il nome di Varese in campo internazionale giunse ben prima dell’Ignis dell’indimenticabile Giovanni Borghi. Pensiamo al record mondiale di velocità realizzato dal pilota Francesco Agello su un idrovolante Macchi-Castoldi costruito dall’Aer Macchi a Masnago e nell’hangar della Schiranna. Schizzò con una velocità media di 709,202 Km orari cronometrata sulle acque del lago di Garda. Era l’anno 1934.
E chi erano questi Macchi se non innovatori di buon sangue varesino? Producevano carrozze e carriaggi di ottima qualità nei capannoni del rione di Masnago e durante la prima guerra mondiale servirono il Regio Esercito con carri di ogni tipo in auge a quel tempo. Ma già da quel conflitto i Macchi compresero che il futuro sarebbe stato tutto nei cieli e rivolsero attenzione e ricerche in campo aviatorio. Tanto da essere in grado di produrre un apparecchio come quello del citato Francesco Agello, Maresciallo e poi tenente dell’Aereonautica Militare.
Nasceva a Varese l’Aeronautica Macchi, uno dei poli produttivi di aerei che aggiunto a quelli della Caproni di Vizzola Ticino e Saronno, della SIAI- Marchetti di Sesto Calende e di Vergiate avrebbero dato vita alla Provincia con le ali.
Qui occorrerebbe aprire una parentesi, fare una digressione sull’insipienza e la mancanza di progettualità sia della classe dirigente varesina, sia delle pubbliche istituzioni. Il cielo diventato progresso e futuro avrebbe sempre avuto bisogno della terra Ciò venne ben compreso dall’Ingegner Caproni che scelse a servizio della sua fabbrica il sedime di Vizzola. Lo compresero anche finanzieri di una certa élite bustocca che pensarono di dare vita all’aeroporto di Busto Arsizio (l’attuale Malpensa) prevedendo lo sviluppo dell’aviazione civile. Non sbagliarono. Sbagliarono Provincia e Comune di Varese che non capirono che quell’areoporto poteva diventare il loro sbocco per collegarsi col mondo, non lasciando campo libero solo alle esigenze di Milano rappresentate dalla SEA Aeroporti Milanesi. La possibilità di entrare nella compagine societaria fu a suo tempo snobbata da nostri politici non lungimiranti. Ancora oggi rimangono problemi di rapidi collegamenti tra Varese e Malpensa, esistono però le strutture per realizzarli grazie alla linea ferroviaria con la Svizzera avviata di recente. E Varese può diventato luogo appetito di soggiorno per lo straniero che sbarca a Malpensa.
Ora dopo il lungo sonno che nel nostro caso non ha generato mostri ma un lento ed irreversibile declino della Varese manifatturiera di eccellenze si è avviata la ricerca di una o più strade nuove di rilancio per il futuro.
Già il turismo legato ad avvenimenti sportivi quali il ciclismo ed il canottaggio ha dimostrato quanto può valere ma le possibilità sono tante ed altre, già esistenti e da sviluppare ulteriormente. La cultura eccelle tra le altre, perché cultura crea cultura ed interessi sempre più ampi ed elevati. Varese è già oggi in grado di passare da un turismo mordi e fuggi ad un turismo prolungato più qualificato sia di élite che di massa. Ne ha tutte le potenzialità, basta riconoscerle, valorizzarle, metterle in rete, creare le necessarie strutture e non dimenticare le sinergie che possono nascere col FAI che a Villa Panza ha creato un altro polo di arte moderna di livello internazionale.
Un primo approccio al nuovo è stata la scoperta delle “nature urbane” un patrimonio di parchi, ville e giardini sconosciuto anche a molti varesini, che ha insegnato come proseguire l’iniziativa e le vie per migliorarla. Numerosi altri i motivi per fare di Varese un centro di notevole attrazione artistica- culturale. Dal Sacro Monte, con le sue cappelle, patrimonio dell’Umanità come lo è l’isolino Virginia sul Lago di Varese, con i suoi reperti palafitticoli, alle raccolte del FAI a Villa Panza con artisti contemporanei di fama mondiale. Possiamo aggiungere il vicino eremo di Santa Caterina del Sasso, un gioiello incastonato sulle sponde del lago Maggiore. E sempre nel giro di pochi chilometri il parco archeologico di Castelseprio col Monastero di Torba del FAI a Gornate Olona o le testimonianze della civiltà di Golasecca custodite a Sesto Calende. Rimanendo a Varese città avremo nella ex Caserma Garibaldi gli archivi dell’Accademia di Architettura di Mendrisio del celebrato architetto Botta, oppure la possibilità di visitare le bellezze del Liberty presenti nei grandi Hotel del Campo dei Fiori o del colle Campigli o conservati in Ville d’epoca e anche in fabbriche. Senza dimenticare collezioni più piccole ma interessanti quali le testimonianze delle civiltà dei deserti africani raccolte dai fratelli Castiglioni e presenti nel Museo di Villa Toeplitz. Momenti e visite che vanno pensate, organizzate, ricollegate anche con trasporti ad hoc, presentate e accompagnate come si conviene.
A tutto questo patrimonio oggi si aggiunge la mostra delle opere di Renato Guttuso apertasi nelle sale Museo di Villa Mirabello opportunamente adattate con un importante impegno finanziario a carico del Comune. Eccessivo secondo alcuni o spesa inutile secondo altri.
Sono coloro che sbagliando per disinformazione o per partito preso appartengono alla categoria di chi pensa che la cultura, i carmina, non danno pane. È esattamente il contrario, la cultura può dare anche il companatico come dimostrano i risultati ottenuti attraverso l’arte ed eventi culturali non solo dalle più celebrate città italiane ma anche da centri minori. È esattamente il contrario se si investe denaro con programmi precisi per il futuro, per lo sviluppo sociale ed economico del territorio. Se si investe In strutture ed iniziative che diventino esse stesse motore di ulteriore sviluppo, evitando eventi effimeri che non lasciano tracce. Sì, Varese nelle intenzioni del sindaco Galimberti, dell’assessore alla cultura Roberto Cecchi e della giunta di centrosinistra investe per il suo futuro. Roberto Cecchi è stato più che chiaro nel suo articolo apparso la scorsa settimana su queste nostre colonne.
Intanto l’attuale amministrazione civica ha il giusto orgoglio di avere portato a Varese quella che certamente è la maggiore collezione privata delle opere del pittore Renato Guttuso dopo venti anni di vani tentativi fatti da noti intellettuali varesini tra l’inerzia del Comune. Con ciò realizzando due importanti momenti.
Rendere il giusto omaggio ad un artista di fama internazionale, un varesino di adozione che per oltre 30 anni ha passato a Velate ininterrottamente le sue estati di intenso lavoro e realizzato qui numerose opere di grande valore pittorico conosciute e collocate nei musei di tutto il mondo. Un pittore che ha immortalato con la sua arte, con i suoi splendenti colori gli stupendi panorami che si godono dalla nostra Velate. In secondo luogo il Comune ha assicurato a Varese per dieci anni in comodato gratuito la disponibilità di parte dei quadri di proprietà della Fondazione Pellin, un imprenditore bustese fattosi amico. estimatore e collezionista di Guttuso del quale possiede la maggiore raccolta privata di opere del pittore.
Si tratta di una scelta precisa quella di dare a Varese un futuro. di recuperare il suo nome tanto prestigioso in passato per farne ragione di sviluppo nella realtà dell’oggi. Il Comune retto dal centrosinistra vuole dimenticare la sonnolenza di tanti anni passati senza prospettive in cui il recupero delle grandi aree industriali dismesse veniva visto null’ altro che come spazio da destinare ai supermercati o a qualche palazzata con anonimi appartamenti magari invenduti.
Varese con chiarezza scommette sulla cultura e sull’arte, sulle bellezze del suo territorio. Non su iniziative effimere che durano lo spazio di un mattino ma sulla cultura che è organizzazione, motore di altra cultura, sviluppo e benessere economico per il territorio. I presupposti ci sono, numerosi. Si tratta di crederci, di gestirli con amministratori validi. Questo lungimirante progetto va fatto conoscere e va condiviso coi cittadini. ai quali chiedere e dai quali pretendere collaborazione anche per presentare una città pulita dignitosa che rispetti il suo prezioso ambiante. Una Varese da offrire non soltanto al turismo ma anche alla residenza qualificata di chi la sceglierà di abitarci pur lavorando nella vicina Milano. E ovviamente una Varese da viverci operosamente nel benessere per i tanti cittadini che non l’hanno mai abbandonata.
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