Dopo la cacciata del sindaco di Riace, estromesso dalla cittadina in cui cercava di offrire accoglienza e lavoro a stranieri volenterosi, nel rispetto dell’armonia di quanti ci abitavano da sempre, e nel desiderio di recuperare, come si è fatto, tradizioni mestieri e case abbandonate da chi se ne era andato via, cosa ci toccherà ancora vedere?
E cosa ci toccherà ancora dopo la rimozione a Milano da balconi privati di liberi striscioni che inneggiano al rispetto dell’umanità?
O cosa ancora, dopo la punizione, e poi anche il dimezzamento dello stipendio, oltre alla sospensione, dell’insegnante che ha lasciato espressione di libertà ai suoi scolari? O dopo la ripetuta e insistita ostentazione da parte del vicepremier, nonché ministro dell’Interno, Salvini dei simboli religiosi cari ai credenti cattolici?
Talmente evidente da avere suscitato la sdegnata reazione della Chiesa. Si veda anche il risoluto intervento del vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, che ha denunciato senza mezzi termini l’incoerenza dell’esibizione di crocefisso e vangelo per mano di chi, al contrario, non rivela sentimenti di concreta attenzione all’umanità, all’amore universale, che è invece lo scopo primo della Parola e della missione di Cristo.
La lista di lamentazioni di cui sopra, che sono solo un’infinitesima parte di quanto si vede ormai quotidianamente, conferma la totale mancanza di rispetto non solo nei confronti dei soggetti, colpiti da divieti e imposizioni, ma di un intero Paese. Che ha invece sempre dimostrato in concreto di credere, oltre che nei valori di cittadinanza e di libertà – espressa in tutte le declinazioni previste dalla nostra costituzione – in quelli dell’accoglienza e dell’ospitalità di ogni persona bisognosa e /o perseguitata. Valga l’esempio dell’olocausto: il nostro è tra i Paesi che più degli altri hanno contribuito a nascondere e soccorrere gli ebrei perseguitati.
Se la paura del diverso, prima ancora che l’egoismo, aveva finora concesso una reazione in parte tepida, la sistematica pratica nella rincorsa a tentativi di prevaricazione della libertà (peraltro chiaramente dimostrata da anni nella irrisione della bandiera, delle celebrazioni storiche e patriottiche) sta finalmente cominciando a produrre l’effetto di una acclarata reazione: non più contro gli “altri”, cioè i perseguitati, i diversi, ma contro chi in realtà cerca di seminare la zizzania del malcontento tra i più deboli.
Siamo ancora in tempo ad aprire gli occhi, a capire che chi promette di guidarci verso la verità e la libertà, mentre nega e infila sotto il tappeto i propri peccati ed errori di una storia politica non del tutto impeccabile, e che ha spesso scoperto, anche attraverso le denunce e le condanne della magistratura, i suoi guasti, contemporaneamente fa di tutto per continuare a legarci occhi, mani e cuore col bavaglio di una martellante, egoistica propaganda antiumanitaria (esempio classico: lo slogan elettorale leghista ‘prima gli italiani’ scritto a chiare lettere nei volantini del porta a porta pre-elezioni).
Proprio in questi giorni, ai musei Civici di Villa Mirabello, è tornato dopo anni il nome di Guttuso, cittadino onorario di Varese dal 1983. La rassegna, curata da Serena Contini, è l’inizio di un percorso culturale ed espositivo intrapreso dal Comune di Varese e dall’assessore alla Cultura Roberto Cecchi che dovrebbe completarsi infine anche con una più ampia rassegna sul maestro di Bagheria.
La mostra dell’84 dedicata al siciliano eccellente e varesino d’adozione – discendente tra l’altro di un garibaldino distintosi nella battaglia di Ponte Ammiraglio – come rivelava il catalogo dei curatori Testori e Colombo nella presentazione dell’allora sindaco Giuseppe Gibilisco, cadeva, proprio come in questa occasione, nella medesima sede e in concomitanza con le elezioni europee. “Grazie per averci resi un po’ più noi stessi, un po’ più europei” scrisse il primo cittadino rivolgendosi al maestro.
Non è quindi inutile rammentare qui il cammino di un artista che fu anche, da sempre, politicamente e civilmente impegnato. Quando realizzò il suo affresco sulla parete esterna della terza cappella della via Sacra dedicata alla Fuga in Egitto così la spiegò, dopo aver raccontato di essersi ispirato a una fotografia pubblicata su di un settimanale con una famiglia di palestinesi in esodo: “Una sacra famiglia di oggi, il racconto evangelico, secondo la lettera di Matteo, che si ripeteva ai nostri giorni. L’esodo, la migrazione obbligatoria, l’Uomo, la Donna, Il Bambino, costretti ad abbandonare la casa, la città, il lavoro, a causa di un eterno Erode che li minaccia nella persona e nelle cose”.
Del suo doppio impegno civile ed artistico, così Guttuso aveva detto di se stesso in “Mestiere di pittore” agli inizi degli anni Settanta, e così ci piace ricordare:
“Io sono una natura ‘Impegnata’ al massimo. Ma non credo che un artista possa stare sempre con l’ideologia in mano, senza rischiare di farla cadere. In un artista, in un uomo cioè, c’è tutto: l’amore, gli amici, le sue letture, il cielo, l’infanzia, i viaggi, c’è il complesso mondo della sua esperienza. E se egli è un ‘uomo’ impegnato, responsabile civilmente di se stesso, ciò si vedrà in tutto quel che fa”.
È di questi artisti, di questi Uomini impegnati che sentiamo il bisogno e il rimpianto.
You must be logged in to post a comment Login