È facile, anche se controverso, constatare che solo stando insieme nella Comunità abbiamo mantenuto quella sovranità, che avremmo altrimenti perso come singoli Paesi nel caso di un debito pubblico troppo alto e coll’isolamento a preludio del default. Lo Stato non rimborsa mai il suo debito a debitori sia interni che esterni; si limita a prendere a prestito pericolosamente i fondi per pagare i debiti in scadenza, sostituendo in pratica il vecchio creditore col nuovo in un processo senza fine. Onde la necessità vitale di migliorare la condizione deficitaria della nostra economia con un rapporto costante di fiducia. Ci vogliono sempre più fondi per finanziare un disavanzo, che per il 2019, in ragione dell’eccesso di spesa, comporta l’acquisizione di altri 50 miliardi di euro.
Il parametro che più conta è il rapporto tra il debito pubblico e il PIL, mentre allo spread è associato il deterioramento della sovranità di un Paese. Preoccupa al momento la differenza di rendimento effettivo tra Italia e Germania, una volta entrato in campo l’euro come stessa valuta. Lo spread è insomma il prezzo che si paga per il diverso rischio nell’investimento di capitali. Nel caso di Paesi diversi bisogna poi aggiungere il rischio che comporta il cambio della valuta. L’aumento di rendimento dei titoli pubblici si riflette anche sui costi di finanziamento delle banche e quindi sulle condizioni di accesso al credito per le imprese.
Nel settembre del 1992 è scoppiata la crisi valutaria, che ha portato il debito pubblico oltre quota 100 del PIL, prima a una svalutazione, quindi alla libera fluttuazione del cambio della lira, collo spettro del default e l’isolamento e impoverimento del Paese. Del 1998 l’avvio di procedure di valutazione per l’ingresso dell’Italia nell’UE (debito pubblico già al 120 %). Del 2011 è la grande recessione, con la crisi del debito sovrano di Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. L’avvio di politiche di austerità particolarmente pesanti evita in extremis il commissariamento dell’Italia da parte della troika (UE, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale). Dopo le elezioni del 4 marzo2018 la reazione è di un rafforzamento del nazionalismo e sovranismo con l’orgoglio della sfida messa in atto e l’innalzamento dello spread sui mercati finanziari. La preoccupazione insorgente, dopo le facili prese di posizione demagogiche, fa ripiegare verso obiettivi più compatibili alla luce dei moniti comunitari. Il livello troppo elevato di debito pubblico non può che indurre instabilità e l’onere lasciato alle generazioni future è francamente inaccettabile e ingiusto.
A partire dalla firma del Trattato di Maastricht è stato vietato il finanziamento diretto dello Stato da parte di una banca centrale, a differenza che per USA,Gran Bretagna e Giappone. La possibilità – e in qualche caso estremo l’automatismo – di un finanziamento monetario di debito e disavanzo da parte della Banca centrale priva quest’ultima dell’autonomia necessaria a svolgere il proprio ruolo a difesa della stabilità monetaria. L’espansione della spesa pubblica per ottenere consenso elettorale costituisce un incubo per il conseguente aumento di inflazione e disoccupazione. Altro che contestare il ruolo pubblico di una Banca centrale. Il debito pubblico nel corso del 2018 si è già attestato sul 131,7 %.
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