Martedì 14 maggio ho avuto il piacere di moderare un incontro con Sergio Fabbrini, professore di Scienza Politica e Relazioni internazionali all’Universita’ LUISS di Roma, editorialista de Il Sole 24 Ore, sul tema ‘Crocevia Europa’. Fabbrini è uno degli studiosi in materia piu conosciuto nel mondo. Ha ricevuto nel 2017 a Ventotene il premio “Altiero Spinelli”. Di seguito la trascrizione della mia introduzione
Mancano ormai pochi giorni al voto europeo di domenica 26 e il nostro intento non è certo quello di aggiungere un’altra voce, particolarmente intelligente o particolarmente polemica al crescendo di accuse, difese, critiche e confronti cui tutti noi assistiamo.
A un certo punto ci troveremo dentro un seggio elettorale con la matita in mano a tracciare un segno, ma l’ingenua baldanza che muove questo incontro, oltre ad offrire elementi di conoscenza per arrivare a un voto con le idee più chiare, è quello di lavorare sulla posta in gioco: la persona, di cui anche la politica è parte. Per far si che che quando ci sveglieremo la mattina del 27 (anche se il voto è differito nei vari paesi, lo spoglio è simultaneo ) non ci si trovi sotto lo scacco di un moralismo (dovevo fare di più), di un senso di colpa (non è come mi immaginavo) o di un menefreghismo dilagante (tanto non cambia niente).
Una posizione che ‘stia’ davanti alle varie sfide della storia.
Nonostante l’Europa abbia garantito a quelli della mia generazione settantacinque anni di pace e sia ancora nel mondo paradigma di alcuni aspetti per nulla scontati (pensate solo al concetto di welfare – sanità e educazione – che sperimentiamo e che non esiste in nessun altra parte del pianeta, Stati Uniti compresi, alla possibilità di libera circolazione di uomini e merci, all’Erasmus per i nostri figli alla difesa dell’ambiente con la lotta alla plastica, alla sicurezza farmaceutica, solo per fare alcuni esempi) eppure queste considerazioni lasciano oggi freddi e ostili un numero crescente di persone.
Ci sono tante ragioni di questo: l’eccesso di burocrazia di Bruxelles, la lentezza delle decisioni di Strasburgo, l’impressione che la sovranità dei 27 Stati membri sia frustrata. A cui si aggiungono i morsi di una crisi economica che ha ridotto capacità di spesa sociale e consumi.
Si potrebbe applicare a quanto sta accadendo all’Europa quella riflessione che il responsabile di Comunione e Liberazione don Julian Carron ripete spesso a proposito del momento attuale. In una società dove i baluardi sociali (famiglia, corpi intermedi) si sfasciano, la politica rinuncia agli ideali a favore dei ‘like’, la cultura non produce novità, si assiste alla fine di quel sogno descritto da Kant: un insieme di valori universali slegati dall’appartenenza alla storia che li aveva generati. Pensate per esempio al valore della “solidarietà “ e a che cosa oggi corrisponda nella pratica incontrando l’altro, il diverso, il migrante.
“Europa oggi chi sei?” si è chiesto Papa Francesco ricevendo il Premio Carlo Magno e soprattutto “dove vuoi andare?”
Eppure non tutto è perduto. Mi ha molto colpito poche settimane fa la reazione davanti all’incendio della cattedrale di Notre Dame (che è un simbolo di una delle due anime europee: la greco-illuminista e la giudaico-cristiana). Tutti, non solo i cristiani,si sono sentiti interrogati. E si sono mossi di conseguenza: chi pregando, chi donando soldi. Poi uno ha vissuto quel fatto come momento di nostalgia oppure si e’ chiesto come mai abbia avvertito nella sua anima uno strappo.
Ecco mi sembra che il lavoro di stasera sia un po’ questo: lavorare sulle ragioni di questo ‘strappo’ non con reazioni emotive (in giro ce ne sono anche troppe) ma con una azione di conoscenza.
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