(S) “Spero di riuscire a mostrare, prima delle prossime elezioni, la possibilità e le condizioni per riprendere a percorrerla con quella coerenza tra ideali e comportamenti che sola può restituire alla gente comune la fiducia nei governanti”. Questo avevi scritto parlando di una strada per l’Europa che ripartisse da Monnet, da Schumann. Adenhauer e De Gasperi. Mi sembra difficile che tu ci riesca. Allora conoscevamo i nostri bisogni: pace, prosperità, cioè superamento dei contrasti esterni ed interni, cioè della guerra fredda e della lotta di classe. Ci siamo riusciti, certamente anche per merito di un rapporto di fiducia tra i sei paesi fondatori, ma soprattutto perché la debolezza politica ed economica dei Sei non ci lasciava alternative.
(C) Non lo metto in dubbio. Come non si può dubitare del fatto che il problema da risolvere era quello del ritorno alla normalità della Germania Ovest, la cui ripresa economica da un lato scongiurava i pericoli di ritorno al totalitarismo che avevano minato la Repubblica di Weimar, dall’altro poteva apparire comunque una minaccia di predominio economico. Altrettanto vero che fino alla seconda parte degli anni sessanta l’Italia non era vista come un peso da portare, ma come un fattore di sviluppo, nonostante l’instabilità dei governi, a causa del sistema di voto proporzionale. Il primo scossone avvenne nel ’68. Anzi furono due, la contestazione giovanile ad Ovest e la crisi cecoslovacca ad Est. Svelarono la vulnerabilità di entrambi i sistemi, sia pure per ragioni diverse.
(O) Vedi un nesso tra questi avvenimenti e l’inizio del processo di allargamento?
(C) Certamente, insieme al successo economico del MEC, rispetto all’ EFTA, l’area di libero scambio voluta in alternativa dagli altri Stati Europei. Perciò nel 1973 aderiscono Gran Bretagna, Danimarca,Irlanda. La Norvegia negozia l’adesione, ma il referendum popolare la boccia. Notate come questo primo allargamento sia orientato a Nord e sia essenzialmente politico- strategico, come assomigli sempre più a quello che già era la NATO sul piano militare. Tuttavia questo non rende più facile ed intensa la vita della comunità europea. I rapporti con gli inglesi sono sempre faticosi e, per quanto riguarda l’Italia, la politica di sostegno all’agricoltura, che assorbe una quota rilevante delle risorse comuni, si orienta più verso i prodotti tipici del continente che verso quelli mediterranei.
(O) Però non mi sentirei di dare un giudizio negativo del processo di allargamento, specialmente dopo la caduta del comunismo.
(C) Attenzione alla durata dei processi di sviluppo. Un passaggio molto importante è ovviamente l’elezione diretta del Parlamento Europeo da parte dei cittadini, attuata per la prima volta nel 1979, ma i poteri reali del Parlamento restano insufficienti anche oggi, a quarant’anni di distanza, alla nona elezione diretta.
(S) Insisto nel sostenere che negli ultimi vent’anni del secolo scorso è venuta a mancare quella spinta forte che deriva dallo stato di necessità. I grandi cambiamenti dovuti alla crisi energetica del 1973 e alla contemporanea fine del sistema di cambi fissi delle monete nazionali avrebbe dovuto spingere l’Europa, che in questo momento è solo quella occidentale e nemmeno comprende Portogallo e Spagna, ancora governate da dittature, a procedere ben più speditamente. Invece il ventennio che porta al Trattato di Maastricht (1992) vede progressi piuttosto lenti, soprattutto in campo economico. Quello più significativo per le persone è l’accordo di Schengen, inizialmente sottoscritto nel 1985 da Germania, Francia e Benelux, oggi esteso anche oltre i confini dell’UE. Poco dopo parte anche il programma Erasmus. Sono avvenimenti di grande valore simbolico, ma di scarso peso politico; si sarebbero potuti realizzare anche senza il grande apparato istituzionale e di regole economiche dell’Unione. Al contrario il grande fenomeno epocale di quegli anni, la caduta del comunismo, avviene per logiche tutte interne, senza che ‘quella Europa’ abbia dato una spinta appena rilevabile.
(O) Forse sei troppo severo in questo giudizio. Dobbiamo almeno riconoscere che abbiamo dato un esempio di libertà, di benessere, di democrazia reale che, al paragone con le condizioni di vita nell’Europa centro-orientale, sottoposta alla guida politica ed economica dell’Unione Sovietica, ha smascherato tutte le illusioni propagandistiche di regime.
(C) forse non siamo ancora in grado di dare un giudizio sicuro su tutti gli avvenimenti di quel decennio, che intercorre tra gli scioperi di Danzica, l’ascesa e la messa fuori legge di Solidarnosc e il crollo del comunismo. Questo stesso decennio è stato quello del serrato confronto sugli ‘euromissili’, la risposta occidentale, ma con armi americane, alla strategia dei missili a medio raggio installati dall’Urss come minaccia concreta contro l’Europa. In assenza di una reale coesione politica e militare europea furono Germania e Francia, in seguito anche l’Italia con Cossiga Presidente del Consiglio ad ottenere l’impegno degli Stati Uniti per bilanciare la minaccia sovietica.
È in questi pochi anni, che arrivano alla metà del decennio ’90, che si vede chiaramente l’insufficienza della coesione e quindi della forza politica della Ue di fronte a problemi gravissimi come la guerra del Golfo e la crisi della Jugoslavia. Cominciamo ad affacciarci su un mondo già globalizzato, senza avere gli strumenti per conoscere, gestire ed eventualmente contrastare le minacce che si moltiplicano appena oltre i nostri confini.
(S) Sembra banale, persino sciocco dirlo, ma era conveniente anche se scomodo in apparenza, essere schiacciati tra USA e URSS. Non c’era la fatica di pensare alla gestione di situazioni complesse, non c’era la tentazione di stringere amicizie politiche prima impensabili e quindi oggi pericolose. Soprattutto non c’erano i nazionalismi, o erano evidenti ed attivi solo quelli storici, baschi e irlandesi. Ma l’UE non ha provato a rafforzarsi dalla parte delle sue istituzioni di governo, rendendole più partecipate e democratiche?
(C) Sì, il trattato di Maastricht del 1992 è un tentativo serio. Il 7 febbraio a Maastricht viene firmato il nuovo Trattato. Quella che fino ad allora era stata comunemente indicata come Cee (Comunità economica europea) diventa Unione europea (Ue). I trattati firmati nella città dei Paesi Bassi definiscono anche precise norme relative alla moneta unica, alla Politica estera e di sicurezza e alla più stretta cooperazione in materia di Giustizia e Affari interni. L’Unione europea uscita dal Trattato di Maastricht non è dunque soltanto la somma delle tre Comunità storiche (Cee, Ceca e Euratom), ma anche un ampliamento delle competenze in diversi e importanti settori. Poco dopo, 1 gennaio 1993, entra in vigore il mercato unico. La libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali diventa realtà. Però la direzione del cambiamento è ancora molto più economica che politica, in direzione liberistica. È aperta la strada verso la moneta unica, l’Euro e verso l’allargamento ad Est, che dovrà però comportare adattamenti anche alle regole decisionali per evitare, per quanto possibile, la paralisi da mancata unanimità. Attraverso il trattato di Amsterdam del 1997 si arriva a quello di Nizza del 2001 che entrerà in vigore nel 2003. Intanto si afferma l’esigenza di una riforma più profonda e si riconosce la necessità di una costituzione europea, che viene convocata nel dicembre dello stesso anno.
(O) A questo punto però entriamo in una fase nuova e quasi drammatica. Per la prima volta da gran tempo i discorsi sembrano allargarsi oltre la cerchia politica e diplomatica, ai filosofi, agli artisti, ai letterati, ai religiosi. Ti suggerisco di dedicare un’apologia intera a questo tema; non posso però non anticipare la mia adesione a un pensiero di Gadamer, riportato da Giovanni Reale in “Radici culturali e spirituali dell’Europa”: “ La mancanza di ‘patria, che minaccia la moderna società industriale, spinge l’uomo alla ricerca di una ‘patria’. Quali saranno le conseguenze? Bisogna guardarsi dal riportare la coesistenza del diverso a un falso spirito di tolleranza o, meglio, a un falso concetto di tolleranza. È un errore molto diffuso quello di ritenere che la tolleranza consista nel rinunciare alla propria peculiarità, cancellandosi di fronte all’altro… È anzi proprio la forza che deriva dalla certezza di quell’identità a rendere possibile la tolleranza”. Il tema dell’identità è ineludibile, anche pensando di realizzare l’unione politica di decine di popoli diversi, destinata a dialogare, a sua volta, con tutti gli altri popoli e stati del mondo.
(S) SEBASTIANO CONFORMI (C) COSTANTE (O) ONIRIO DESTI
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