Sono sempre alla ricerca di buone notizie – merce rara di questi tempi – e alla fine una l’ho trovata. E lo sapevo. Sapevo di avere ragione: i ragazzi sono la parte migliore della scuola, e forse anche del genere umano.
Quando insegnavo, non passava anno che qualche collega non si lamentasse: “I ragazzi non sono più quelli di una volta”. E io pensavo: “Neanche le mezze stagioni”. Ma, per non urtare la loro suscettibilità, evitavo l’ironia e contestavo educatamente, sostenendo che, in fondo, sono sempre gli stessi e forse eravamo noi a non saperci adeguare alle loro esigenze.
Certo, cambiano i tempi e con i tempi cambiano anche gli interessi e le aspettative degli studenti, ma i valori fondamentali – l’amicizia, il rispetto, la lealtà, la giustizia – quelli restano. O, almeno, resta sempre uguale in loro il desiderio di realizzarli. Compito degli educatori è guidarli verso la realizzazione.
Negli ultimi anni, diversi episodi avevano incrinato le mie certezze: atti di bullismo, reazioni anche violente nei confronti degli insegnanti. Vuoi vedere che devo ricredermi – mi dicevo – che i giovani sono davvero cambiati? D’altronde manco dalla scuola da parecchi anni, non ho più il polso della situazione.
Invece no, li ho ritrovati i “miei” ragazzi, così come me li aspettavo, in una vicenda accaduta a Milano. Istituto comprensivo Cavalieri, primi di aprile. Sul muro esterno compaiono scritte offensive nei confronti della dirigente. In breve tempo gli insulti vengono coperti da un mare di post-it colorati: su ognuno un incoraggiamento, una parola affettuosa, il riconoscimento del lavoro svolto. E poiché il muro non è sufficiente ad accogliere tutti i foglietti, i ragazzi vanno in presidenza e ne applicano altri sulla porta. Eccoli lì, gli studenti che ho conosciuto, capaci di superare la metafora ormai stucchevole dei muri che dividono e dei ponti che uniscono per creare un muro che unisce.
Mentre scrivevo queste righe, però, sono sopraggiunti, quasi a volermi smentire, i fatti di Manduria: un gruppo di giovani, la maggior parte minorenni, hanno tormentato e torturato un uomo anziano fino – pare – a causarne la morte. Notizia agghiacciante, ma io voglio restare ottimista.
La psicologa Anna Oliverio Ferraris sostiene che gli adolescenti tendono ad essere aggressivi e superficiali e a non pensare alle conseguenze delle loro azioni. È vero, ma la mia esperienza mi ha anche insegnato che, se si riesce a conquistare la loro fiducia e la loro stima, non è difficile condurli a scelte responsabili. Perciò voglio credere che anche quei ragazzi, se fossero stati adeguatamente guidati, avrebbero saputo riconoscere e tacitare i loro démoni.
Tuttavia non posso negare che la notizia mi abbia deluso. Così, per riacquistare la speranza, sono andata alla ricerca di fatti consolatori e l’altro giorno ne ho trovato uno – sembrerà strano – proprio in Facebook, dove spesso si scatena la parte peggiore del genere umano.
C’era una foto: un uomo e una donna uniti in un selfie; lui con il capo coperto da una sciarpa rossa, lei con una fluente chioma bruna. Sono iraniani. Lui ha deciso di sostenere le donne nella battaglia contro la legge che le obbliga ad indossare l’hijab e ha aderito alla proposta #MenInHijab (uomini con l’hijab), hashtag lanciato dalla giornalista iraniana Masih Alinejad, blogger dell’Huffington Post.
Pare siano numerosissimi coloro che hanno risposto. Un’immagine che vale più di mille discorsi, una buona notizia che non ha bisogno di commenti.
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