L’educazione non è un fenomeno temporaneo, che dura un giorno e poi se ne può fare a meno, accompagna le persone sempre, è dinamica, si trasforma e trasforma, produce, rafforza, corrobora, sviluppa autostima, autonomia, cultura, rafforza il carattere individuale e crea le condizioni per un’armonica ed equilibrata vita di comunità.
Un tempo le massime istituzioni le riservavano un posto di grande prestigio, erano coese e convergenti sui valori da conservare, restaurare, rafforzare, consolidare e potenziare. La famiglia, la scuola, la società civile, lo stato avevano in comune un’attenzione particolare per l’educazione, soprattutto per quella più visibile e condivisibile, quella che è artigianalmente lavorabile senza creare ansie o repressioni, quella che puoi valutare strada facendo con sistemica coerenza. Tutto convergeva verso la formazione educativa della persona. Il clima lo respiravi dappertutto, anche quando ti sembrava di essere lontano da tutto e da tutti, libero forse di poter fare tutto quello che volevi. In realtà ogni volta che ti scappava una parolaccia ti guardavi attorno, convinto di aver mancato di rispetto a qualcuno, non parliamo poi del rispetto nei confronti degli adulti, nessun giovane si sarebbe mai permesso di mancare di rispetto a un adulto e viceversa.
C’era poi l’oratorio, il luogo educativo per eccellenza, dove anche il gioco più evoluto era soggetto a comportamenti adeguati e dove ti sentivi osservato con una stima che sapeva trasformarsi in fermezza, se necessario. All’oratorio si pregava e si giocava, si ascoltava e si rifletteva, si stava alle regole e soprattutto s’ imparava che la via della felicità stava soprattutto nel rispettare alcuni principi e valori fondamentali, come il rispetto di sé, quello degli altri, ma non solo, l’oratorio era un eloquente laboratorio di virtù educative, di cultura non solo religiosa, il luogo dove incontravi nuovi interessi e nuove curiosità, dove la vita si manifestava con altre regole, con altri sguardi e dove la libertà dovevi conquistartela magari con l’obbedienza. Dunque tra famiglia, scuola, oratorio, società civile e stato c’era una strettissima correlazione, si imparava molto presto che cosa era giusto e che cosa era sbagliato, quali erano le vie da seguire, le persone da frequentare e quelle da evitare.
Non era un delitto diversificare, ma una regola di civile condotta. Frequentare gente educata rafforzava il carattere,migliorava il modo di essere e di fare, affinava il comportamento e alla fine la forza di alcuni diventava dominante sulla stupidità di altri. Una sana concorrenza educativa ti costringeva a domandarti chi eri veramente, perché qualcuno ti evitava o ti prendeva in giro, ma allo stesso tempo creava negli altri, magari senza che se ne accorgessero subito, un evidente dubbio socratico: “Ma è proprio giusto quello che sto facendo? Faccio bella figura? Quello che faccio ha un senso? Come mai faccio certe cose? Perché agisco in questo modo?”
Insomma, uno dei punti di forza dell’educazione tradizionale era quello di mettersi in discussione, di capire, di sondare, di andare alla ricerca di quel qualcosa in più che avrebbe messo meglio in luce la persona. Educare a porsi delle domande è sempre stato un metodo positivo, in fondo la verità non la si trova già confezionata, bisogna cercarla, bisogna sdoganarla con pazienza e con coraggio, anche se in certi casi la scoperta può comportare una caduta di forza nel sistema immunitario che ci eravamo creati.
Quello che manca molto spesso oggi, nelle massime istituzioni educative del sistema, è la volontà di aiutare il prossimo a capire chi è, quale funzione abbia, di che cosa abbia realmente bisogno, quali siano i valori che possono rafforzarne lo stile, l’educazione, la vita in tutte le sue variabili.
Nella maggior parte dei casi l’altro è semplicemente un bastone tra le ruote o qualcosa che ci impedisce di fare fino in fondo quello che vogliamo, un muro insomma, un ostacolo da evitare o da togliere di mezzo.
Da sano competitor a nemico, da avversario a impedimento, è caduta quella sacrosanta base di rispetto su cui si era formata la società italiana del dopoguerra, quella che uscendo dalla drammatica disperazione della guerra cominciava a capire quali fossero le vie giuste da seguire per ricreare una società a misura d’uomo, dove ciascuno avrebbe trovato il proprio senso, finalizzando positivamente la propria vita.
L’educazione non è mai stata dalla parte dei ricchi, dei detentori del potere, degli uomini e delle donne di successo, ma è nata dove la famiglia era più unita, dove l’unione non era soltanto un’espressione verbale, ma una consapevolezza e dove tutto diventava conquista quotidiana, condivisione, scoperta, aiuto reciproco.
Le bellissime famiglie contadine non avevano neppure il tempo di cercare l’unione, perché ce l’avevano già dentro, la terra e il lavoro erano il collante, non c’era bisogno dell’orario sindacale, ognuno gestiva coscientemente lo spazio e il tempo, si aggregava, rafforzava, imparava dalla vita a gestire la vita stessa. C’era molta serenità, molta consapevolezza, il rispetto era la base di tutto, era fondamentale sia nella vita di coppia che in quella di gruppo o comunitaria.
La famiglia aveva una fortissima coscienza civile, non le sfuggiva nulla, insegnava a lavorare, ad assumersi le responsabilità, a fare fatica, a impegnarsi, ti metteva nella condizione di fare il tuo dovere con senso di responsabilità, senza chiacchiere inutili, senza sottostare a estorsioni o a costrizioni.
Tutto viaggiava intorno a un sano senso del pudore, a una religiosità fatta di obblighi, a una disciplina naturale, che non aveva assolutamente bisogno di forzate repressioni. La sberla di un padre era l’ultima spiaggia, ma poteva essere talmente intensa che nessuno si sarebbe mai nemmeno sognato di poterla ricevere, nella maggior parte dei casi uno sguardo era sufficiente, le regole erano regole sempre, anche nelle occasioni di festa e di massima libertà.
Oggi si arriva ai ricatti, ai sotterfugi, alla violenza, alla prevaricazione, alla sopraffazione. È incredibile come, dopo anni di scuola obbligatoria, di mezzi di comunicazione di massa di tutti i tipi, di una cultura generale che ha raggiunto quasi tutte le fasce della popolazione, siamo quotidianamente testimoni di gravissime forme di maleducazione, di efferatezze di ogni tipo, di un’assoluta e totale mancanza di rispetto, viviamo in una società che spesso uccide la lealtà, il rispetto, la fedeltà, la sobrietà, l’amore, soprattutto quello che dovrebbe unire insieme, consapevolmente, le persone.
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