9 Maggio, “festa dell’Europa”. Inizia la storia dell’integrazione europea. Il protagonista ufficiale è lui: Robert Schuman. Diritto, allampanato, con il capo calvo, il naso aquilino, la voce sgraziata, di fronte alla stampa di tutto il mondo, frettolosamente convocata nel salone dell’orologio del Quai d’Orsay, il ministro francese degli esteri legge una dichiarazione che passerà alla storia come “la bomba Schuman”.
È il vespero di un martedì. Anche il sole è riuscito a infilarsi fra le grigie nuvole. Fuori dal Ministero, la Senna, limpida, viva, sempre nuova si sbizzarrisce a costeggiare le rive e sembra anch’essa tremare quando incontra il muro di sinistra: al di là del viale, un uomo sta impostando un nuovo corso della storia d’Europa.
“L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra!” – legge Schuman e alza il suo volto verso i presenti. Probabilmente, pensa ai tentativi che il conte Kalergi e il politico francese e premio Nobel per la pace Aristide Briand avevano progettato nel periodo tra le due guerre mondiali. La loro proposta non aveva trovato buona accoglienza a causa della crisi in cui versava la Società delle Nazioni e a causa del nazionalismo che celebrava ed esaltava la forza di una nazione sull’altra, dell’egemonia economica e politica di un paese sull’altro, della superiorità razziale di un gruppo sull’altro. Da qui all’esaltazione della guerra il passo fu breve.
Il conflitto mondiale era terminato da cinque anni. La Francia aveva celebrato il giorno prima la commemorazione della liberazione dalle truppe naziste, ma Schuman, con l’audacia del profeta, non guarda al passato, volge il suo sguardo al futuro e dichiara di aver raggiunto con la Germania un accordo di riconciliazione. Schuman sa che non c’è pace senza perdono. È il perdono che spezza le catene del male. Per questo tende la mano all’ex nemico e gli propone di collaborare con il suo Paese per “salvaguardare la pace con sforzi creativi, proporzionati ai pericoli che la minacciano”. E così il perdono diventerà la pietra angolare, scartata dai costruttori, della nuova casa europea.
Continua Schuman:” Il governo francese propone di mettere l’insieme della produzione franco – tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri Paesi europei”. Gli stati che aderiscono all’appello di Schuman cederanno la loro sovranità sul carbone e sull’acciaio estratti dal sottosuolo dei loro paesi per metterla a disposizione di tutti: nasce la prima Comunità, germe da cui, attraverso alterne vicende, si giungerà all’attuale Unione Europea, che non è un super-stato, la negazione della Patria, ma un progetto che segna i confini nazionali non più su un tavolo con un righello e una matita, ma sulla base di una nuova cooperazione sovra – nazionale.
Schuman non vuole coalizzare dei governi, ma unire dei popoli, ciascuno nella sua identità. L’Unione Europea anche oggi desidera superare le alternative rigide tra l’omologazione che nega la diversità e la giustapposizione delle culture, da una parte, e la condizione di ritrovarsi nella collaborazione in campo economico, sociale e culturale, dall’altra. I confini sono stati creati non per delimitare circolazione di persone, di merci, di capitali, ma per essere attraversati liberamente.
Siamo europei quando siamo capaci di vivere senza frontiere, liberando il cuore da muri e da recinti di filo spinato; quando siamo capaci di trasformare il rancore in solidarietà: è questo, oggi, il nuovo nome della pace. Solidarietà che sia equa nei confronti dei cittadini di ciascun Paese, in particolare dei più deboli e dei più poveri, e aperta, responsabile e rigorosa verso chiunque bussi ai confini in cerca di una vita decorosa. Lo dichiarò Robert Schuman il 9 maggio 1950: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”.
La solidarietà in campo economico creerà prosperità. Ecco perché le prime realizzazioni concrete serviranno ad armonizzare le politiche economiche del vecchio continente. Abbandonando i tentativi di rivincita, si sarebbero attuati impegni concreti per rendere prosperi i paesi aderenti. Quello di Schuman, oltre che essere un atto altamente morale, spirituale, è un atto politico, a cui ne seguiranno altri. L’economia dovrà essere al servizio dell’uomo, non degli stati. Il mercato non sarà solo un luogo per lo scambio di merci, ma un’occasione di incontro tra persone ed idee. E la finanza, sganciatasi dall’etica, diventerà causa di disgregazione perché ammala la mente dell’uomo con l’orgoglio, lo rende maniaco e lo avvicina alla corruzione.
Jean Monnet – fedele collaboratore e caro amico di Schuman, oltre che ideatore del piano che il ministro stava per attuare politicamente – racconta nelle sue “Memorie” che, al termine della dichiarazione, accompagnando Schuman verso l’uscita del salone, costui lo prese sottobraccio e gli sussurrò all’orecchio: “Ed ora bisogna darle un’anima!”
I cristiani e gli uomini di buona volontà, come sentinelle vigilanti, sono l’anima di questa Europa che deve rinascere nella ricerca della concordia tra i Paesi membri, nella solidarietà, nella prosperità, nell’unità perché – come scriveva Leone Tolstoi – “non è possibile purificarsi da soli, purificarsi sì, ma insieme; separarsi per non sporcarsi è la sporcizia più grande”.
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