C’è un nuovo capitolo nel grande libro di quella finanza creativa che ha guidato negli ultimi anni la navigazione dei conti pubblici italiani. C’è un nuovo modo per creare dal nulla risorse per finanziare interventi e per coprire spese più o meno utili.
Il metodo è molto semplice. Si stanzia una somma aumentando il debito, se ne spende solo una parte e si proclama che esiste un “tesoretto” per finanziare qualche altra cosa. Tanto il debito lo pagherà prima o poi qualcun altro. È quanto sta avvenendo con il reddito di cittadinanza, una misura che all’inizio era stimato costasse attorno ai dieci miliardi euro l’anno.
I soldi per finanziare una spesa pubblica si possono trovare in tre modi: aumentando le tasse, diminuendo le spese, cercando di farseli prestare. Impopolare la prima ipotesi, impraticabile a breve termine la seconda, ecco la strada del debito.
E cosi è avvenuto, come avviene da molti anni a questa parte. Per finanziare reddito di cittadinanza e quota cento per le pensioni, gli interventi simbolo delle due forze di governo, il Governo ha deciso che si poteva far arrivare quest’anno il deficit, cioè la differenza tra le spese e le entrate, al 2% del Prodotto interno lordo. Un punto di pil vale circa 15 miliardi e questo vuol dire che il Governo dovrà chiedere ai risparmiatori e ai mercati finanziari trenta miliardi in più.
Dato che i fondi non sarebbe stati comunque sufficienti per finanziare le due misure si è allora deciso di spostarne l’avvio di qualche mese in modo, almeno quest’anno, di ridurre gli oneri. Per otto mesi erano stimati quindi costi per poco più di sei miliardi per il solo reddito di cittadinanza. Raccolte ed esaminate le domande sono emersi due imprevisti. In primo luogo che il numero dei richiedenti, pur superando il milione, era comunque inferiore alle stime (si era addirittura parlato di cinque milioni di poveri potenzialmente interessati). In secondo luogo che solo una parte, circa un terzo, avrebbe acquisito il diritto di ottenere integralmente il sussidio di 780 euro: gli altri riceveranno meno dato che beneficiano già di altri interventi come le pensioni di invalidità o il reddito di inclusione.
Ecco allora che si arriva a una spesa per questo 2019 di poco superiore ai 5 miliardi, uno in meno di quanto previsto e stanziato nella legge di bilancio. Logica vorrebbe che si approfittasse dell’occasione per ridurre la necessità di contrarre nuovi debiti dato che la massa di impegni finanziari è già abbastanza alta e preoccupante. Senza dimenticare che l’anno prossimo il conto sarà comunque più alto perché bisognerà pagare il sussidio per dodici mesi.
Ma la logica in questo caso si scontra con la campagna elettorale. E così chi governa afferma che si è risparmiato un miliardo che può essere subito speso per interventi sociali: una scelta chiaramente per raccogliere consensi particolarmente importanti in questo momento pre-elettorale. Ma parlare di soldi risparmiati è sbagliato e fuorviante. Quasi fosse un gioco delle tre carte. Si risparmia quando si evita di spendere soldi che si sono guadagnati. Ma con il deficit si stanziano soldi che non esistono, che vanno ancora raccolti e che quindi non possono essere risparmiati. In pratica si fanno le riforme con i soldi degli altri. Presto o tardi comunque il conto non potranno che pagarlo i contribuenti, soprattutto i giovani. Già si parla per l’anno prossimo di aumento dell’Iva e di tassa patrimoniale. Intanto però l’importante è vincere le elezioni. Poi si potrà sempre dare la colpa di una eventuale crisi ad un complotto della grande finanza mondiale.
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