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Zic & Zac

CARO FRANCESCO

MARCO ZACCHERA - 03/05/2019

papa“Chi sono io per giudicare?” Io – un cristiano pieno di dubbi, di incertezze, di incongruenze – non ho alcun titolo per giudicare un Papa, però a Papa Francesco vorrei comunque scrivere, in amicizia e senza alcuna polemica, pronto a riconoscere i suoi tanti meriti in ogni campo a cominciare dal volere un necessario rinnovamento nella Chiesa denunciando tante mancanze morali e svolgendo un compito pieno di difficoltà.

Scrivo perché mi sento sempre più a disagio e sono alla disperata ricerca di risposte.

Tutto è cambiato intorno a noi – nel bene e nel male – in tutti i campi e certo per quello religioso non è più il tempo delle processioni, dei segni esteriori di potenza, dell’autorità, dei dogmi.

Credo che molti cristiani come me si interroghino però sul perché di una nostra società sempre più lontana dalla religione – soprattutto quella cristiana e cattolica – nelle sue forme esteriori ma – anche – di quanto spesso sembri sempre più lontana la nostra stessa Chiesa dalle realtà quotidiane pur cercando di correre dietro (fin troppo) al “politicamente corretto”.

L’importante figura del Papa non l’ho mai intesa come qualcuno che ordini, ma piuttosto come quella di un pastore che faccia riflettere, che sia da esempio e che da “padre” parli ai tanti suoi figli dispersi nel mondo.

Per questo sono sconcertato da alcuni aspetti che mi sembrano diventati il cardine di un messaggio cristiano e che invece sono solo un aspetto importante di una realtà che però ha anche altre priorità.

Alludo alle problematiche dei cristiani che soffrono e a quella dei “migranti” che sembrano diventati l’essenza di questo pontificato.

Il cristianesimo è innanzitutto amore verso il prossimo e quindi anche accoglienza dello straniero, un dovere da compiere e su questo non si può e non si deve transigere ma – proprio per poter aiutare in modo concreto ed utile – servono regole, organizzazione, priorità, chiarezze o alla fine si creano situazioni insostenibili.

E qui si apre una dei due aspetti principali dei miei dubbi, per esempio che vengano sempre considerati “prima” i migranti, ma non tanto rispetto agli italiani quanto ai loro stessi fratelli che restano a soffrire a casa loro, dimenticati, poveri ed oppressi.

Ho scritto un libro su questo: non si può affrontare ogni giorno e in ogni omelia il problema creato dall’ultimo anello della catena (i migranti sui barconi) e non si affronta mai quello iniziale ovvero quello di governi corrotti, violenti, incapaci, discriminatori, razzisti che creano le condizioni della schiavitù e quindi dell’esodo. Lo stesso vale per i trafficanti di carne umana: se dal Vaticano giungessero parole più ricorrenti e dure contro la tratta, i governi non sarebbero più impegnati a combatterla?

Perché, come ha sostenuto Papa Francesco nella Via Crucis del venerdì santo, se si entra nel merito e nel dettaglio di chi “chiude le frontiere per interessi politici” (e quindi di fatto si entra nelle questioni politiche italiane) non si denunciano con esempi concreti anche chi distrugge il mondo, assoggetta continenti, sfrutta le risorse dei popoli e li spinge ad emigrare?

Mi riferisco alla Cina – ad esempio – verso la quale sembra esserci una acquiescenza ed estrema tolleranza globale, ma anche a tutti quei governi verso i quali c’è troppo silenzio e quindi si rischia la complicità.

Il secondo aspetto è che la Chiesa non è e non deve essere solo “assistenza sociale” ma prima di tutto una comunità di credenti e quindi – nella fraternità e nell’accoglienza, senza discriminazioni verso nessuno – avrebbe però anche il dovere di denunciare con più forza i soprusi, le atrocità, le ingiustizie che nel mondo soffrono i componenti della nostra stessa comunità cristiana perché il senso di appartenenza è il collante di ogni comunità, la forza interiore che spinge al sacrificio, all’aiuto, alla solidarietà, a volte anche al martirio.

In questo senso mi sembra che la Chiesa cattolica abbia in questi ultimi anni spesso abdicato al suo ruolo quasi paurosa di denunciare chiaramente le responsabilità degli estremisti di altre religioni, a cominciare da quella islamica, eppure centinaia di milioni di cristiani sono minacciati dall’Africa all’Oriente.

Penso alla Chiesa che soffre in tantissimi paesi del mondo, alle sofferenze dimenticate di troppi nostri fratelli in Cristo, alle persecuzioni politiche, religiose e sociali.

In questo credo che il Papa dovrebbe essere più incisivo, autorevole, deciso.

Questa Pasqua è stata contrassegnata dai morti cristiani in Sri Lanka, ma avvenne lo stesso con i copti in Egitto e le tremende esplosioni in Pakistan – sempre a Pasqua – tre anni fa.

Sono i martiri cristiani di oggi (quasi sempre vittime di estremisti islamici, ma sembra non sia di moda e ci sia timore a dirlo) per i quali – per esempio – nella “Via Crucis” del venerdì santo mi aspettavo almeno un ricordo perché sono tantissimi, troppi.

Ho avuto anch’io occasione di pregare nella chiesa di Sant’Antonio a Colombo, in Sri Lanka, proprio quella fatta saltare in aria domenica scorsa.

Ceylon è in un paese tollerante dal punto di vista religioso ma dove essere un cattolico significa comunque essere minoranza eppure (o forse proprio per questo) proprio a Ceylon ho visto – come ovunque nel mondo – che là dove credi per scelta e non per tradizione c’è sempre molto più entusiasmo, fede, consapevolezza, partecipazione.

Mi sembra che negli ultimi decenni si sia perso progressivamente il senso missionario, la carica emotiva della volontà di spiegare ad altri fratelli il senso del Vangelo.

Una Chiesa che perde queste caratteristiche non cresce, si chiude in sé stessa, non ha carica vitale ed è con tanta tristezza che vedo le nostre chiese semivuote, abbandonate senza più sacerdoti giovani, relegata ai margini della società.

Il venerdì prima di Pasqua, uscendo dalla “Via Crucis” nella nostra parrocchia dove intorno a me c’erano solo qualche decina di persone anziane, fuori c’era un mondo non ostile ma semplicemente distratto e diverso, totalmente insensibile a una realtà religiosa diventata sconosciuta.

In piazza c’erano la musica, il baccano della “movida” con tanti giovani che erano lì a far festa… già, ma quale festa? In fondo se Pasqua è una festa religiosa perché la festeggiano allora anche i non credenti: a che fine, per cosa?

È una delle mille incongruità di una società superficiale, distratta, che insegue altri miti, altri scopi, altri ideali e che neppure conosce il messaggio di Cristo o ne ha solo sentito superficialmente parlare.

 

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