Il nonno spregiudicato speculatore terriero ai danni della curia, il nipote generoso benefattore ecclesiastico. Claudia Morando, feconda e meticolosa autrice di studi e ricerche storiche, srotola un altro capitolo della saga dei Foscarini a Varese rivelando volti e personalità contraddittorie all’interno della stessa famiglia. Il nonno Giacomo Maria (1759-1833), agronomo, amico di Vincenzo Dandolo e come lui disinvolto e “creativo” uomo d’affari, si arricchì comprando a prezzi di saldo case e terreni fatti requisire da Napoleone a conventi e monasteri. Il nipote Giacomo (1827-1904), sacerdote, una vita devota e disciplinata, rinunciò invece all’eredità di famiglia e donò una chiesa alla diocesi.
La Morando si occupa da anni della saga dei Foscarini, sin da quando dirigeva l’Archivio di Stato prima di andare in pensione. E continua a farlo oggi con libri e contributi per le riviste specializzate. Il suo ultimo articolo pubblicato nel numero 35 di “Ricerche storiche sulla Chiesa ambrosiana” (2017-2018, pp. 255-269) riguarda monsignor Giacomo Foscarini, nato a Milano il 22 novembre 1827 e morto a Binago il 2 agosto 1904. Studente di teologia al Seminario arcivescovile di Milano, fu ordinato sacerdote il 14 giugno 1851 e svolse il suo apostolato tra Cormano, Milano, Seveso, Monza (vicerettore del Seminario filosofico) e Figliaro, dove fu parroco della chiesa dei SS. Ilario e Remigio.
Il nonno Giacomo Maria si chiamava in realtà Jacob di Simon Motta, di origine ebraica. Era nato nel 1759 a Venezia, tenuto a battesimo dal nobile Giacomo Foscarini ai Carmini che, secondo un’antica usanza, gli aveva dato il proprio nome. Esercitava, come il padre, il mestiere di negoziante e simpatizzava per Napoleone. Nel 1784 si era convertito al cattolicesimo con la moglie Allegra Jesurum (che prese il nome di Camilla) e dopo la cessione di Venezia all’Austria nel 1797 era fuggito a Varese avviando una fiorente attività agricola con la coltivazione della vite e dei gelsi, la bachicoltura e la produzione della seta. Intanto acquistava dal demanio, a prezzi stracciati, terreni di provenienza ecclesiastica (la Morando ha raccontato la storia dettagliata nel sito www.ilmondodegliarchivi.org).
L’astuto imprenditore fece affari d’oro a Biumo Superiore, Capolago, Bizzozero e Schianno rilevando beni appartenuti all’abbazia della SS. Trinità di Capolago, incamerò l’oratorio di S. Silvestro a Cartabbia, fondi e case alla Schiranna e Brinzio e consistenti terreni al Sacro Monte, in precedenza intestati alle monache di S. Maria. Nulla di più lontano dalla mentalità del nipote Giacomo, devoto e ossequente, che a Figliaro si ritrovò alla guida di una parrocchia di 372 anime che oggi appartiene al comune di Beregazzo, in provincia di Como. Con dovizia di particolari la Morando ricostruisce le vicende professionali e personali del sacerdote, compresi i dettagli della situazione patrimoniale ed ereditaria.
Veniamo così a sapere che Giacomo ottiene un vitalizio dai fratelli e si trasferisce a Milano come canonico della basilica di S. Ambrogio su nomina dell’arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana e vi resta fino alla morte. Nelle sue ultime volontà, dispone un lascito per la costruzione della nuova chiesa di Cartabbia nell’area dove esisteva il piccolo oratorio di S. Silvestro, già di proprietà della famiglia e dove la salma è tumulata. Vi profonde i risparmi di una vita, raccolti in un libretto del Banco Ambrosiano. La nuova chiesa intitolata ai SS. Silvestro e Giacomo, secondo i suoi desideri, oggi è semplicemente S. Silvestro nelle pubblicazioni ufficiali. L’unico segno che ricorda il generoso sacerdote è la vetrata dell’abside che celebra l’apostolo Giacomo.
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