Scendo in campo, disse un Berlusconi sorridente e ammaliante venticinque anni fa, perché amo il mio Paese, l’Italia. Prima gli italiani, ripete oggi conquistando sempre maggiori consensi il leader della Lega Matteo Salvini, riferendosi quasi certamente a contrastare una percepita marea di invadenti immigrati che premono alle nostre coste mediterranee.
E a proposito di amore e di senso di identità. È innegabile che nel 2016 il governo presieduto dal piddino Matteo Renzi chiamò il popolo a pronunciarsi su un referendum di riforma costituzionale perché utile al Paese, l’Italia, che forse amava ma un po’ meno di sé stesso, e invece anche alcuni del suo medesimo partito (un po’ slealmente) non solo lo considerarono inutile ma dannoso.
Per non dire del Movimento pentastellato che, più o meno da una decina d’anni, guidato dall’ex comico televisivo Beppe Grillo, si presentò – anch’esso riscuotendo tanti pareri positivi – come un organismo propulsore del cambiamento, un cambiamento epocale e radicale. Solo per il bene dell’Italia e magari anche dell’Europa; come a dire che tutto ciò che è venuto prima è sbagliato, sbagliatissimo. All’Italia, che è sopravvissuta a tutto grazie al suo stellone, adesso gliene propongono addirittura cinque.
Sarà il normale “gioco” del voto e della democrazia – infatti i cittadini da un anno all’altro (spesso si dovrebbe dire da un mese all’altro) pencolano scegliendo di fatto ora l’uno ora il suo contrario –, quel sistema difettoso – la democrazia – ma migliore di tutti gli altri, come diceva Churchill.
Qualcosa non quadra. E non si tratta solo di un evidente risultato di quell’espressione chiamata eterogenesi dei fini, cioè si parte con un’idea e propositi simili per arrivare a conclusioni del tutto diverse. È più probabile che qualcuno (o tutti?) – com’è che da millenni accade – racconti balle colossali. Parte dicendo che vuole il bene comune, e in realtà agogna soltanto al bene di sé stesso.
Il quasi ottantatreenne Berlusca, qualche settimana fa, è di nuovo apparso annunciando una nuova discesa in campo – un quarto di secolo dopo, appunto – per dire innanzitutto che si candiderà (alle Europee): l’altra volta, afferma, sconfissi i comunisti; stavolta – dice – voglio abbattere questo governo. Di cui la Lega – che ne è magna pars – già sta ottimamente insieme con lui e con il suo partito in centinaia di “piccoli” organismi comunali, e in grandi governi regionali. Contro i comunisti un tempo e contro questo governo ora, che ha un’unica caratteristica importante e riconoscibile: lui, il Berlusconi, non ne fa parte.
Il nostro (amatissimo) Paese è indubbiamente di memoria corta, come i vecchi i quali – a meno di malattie gravi – dimenticano in fretta i fatti recenti ma ricordano con un certo piacere i più antichi (e qui anche il Salvini potrebbe insegnare qualcosa). In quegli anni lontani ma non lontanissimi – venticinque come s’è detto – il comunismo internazionale dominato dall’Urss era già imploso e s’era liquefatto. E anche da noi – da qualche anno – il partitone non si chiamava più Pci ma Partito dei democratici di sinistra: il Silvio amava così tanto il suo Paese, dove le sue aziende facevano affari, e dove la magistratura indagava, da non essersene accorto. E nemmeno gli elettori.
Insomma, quando i politici presenti e futuri scendono in campo – tutti indistintamente – lo fanno per un atto d’amore. A favore degli altri, così spiegano la loro disinteressata e generosa volontà. Mai nessuno che dica: Italiani! Voglio farvi un mazzo così perché il momento è grave (il Churchill che prometteva agli inglesi lacrime e sangue…); oppure come il grande attore Totò (lui sì, attor comico), un veggente si direbbe oggi, che a buon diritto dal balcone gridava: Italiani! Arrangiatevi…
Il dramma, il vero dramma, è che il popolo sovrano ci crede, davvero pensa di essere amato. Non si pone dubbi. Si genuflette come nemmeno dinanzi a un santo patrono, applaude, si china anche girato di spalle. Nella speranza, nell’illusione che l’Italia torni a essere più bella e più grande che pria. Parole di Ettore Petroni, altro celebratissimo (e anch’egli a buon diritto) attor comico.
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