Trasformo i pensieri in parole, mentre dalla finestra del mio studiolo il chiarore del giorno non vuole cedere alle prime ombre della notte. Anche il merlo, mio amico durante il giorno, ha terminato di raccogliere le ultime pagliuzze per il nido che quest’anno sta edificando su un alto ramo del pino per scansarlo dalle grinfie dei gatti. Gli uccellini chiassosi e cinguettanti salutano il giorno che è restìo a morire. Sul cielo ancora limpido e terso incomincia a farsi strada un bel falcetto di luna.
Domani sarà un altro giorno con i suoi canti di gioia e le sue stonature, mentre ora all’inizio di una notte compatta e silenziosa mi chiedo ragione del mio vivere nel giorno che sta per morire. La notte mi è sempre sembrata sinonimo di morte quotidiana e l’alba di vita, di risveglio, di una piccola resurrezione. Nessuno ama la morte. Al giorno morto lascio la stanchezza e all’aurora affido il vigore del nuovo cammino, come mi sentissi un fanciullo impaziente di correre, con gli occhi stupiti alla ricerca di nuove avventure uniche e diverse da tante altre.
E’ radicato nell’uomo questo desiderio di liberarsi dal male del tempo, di scuotersi la polvere di dosso e di ritrovare la novità di vita.
La Pasqua che celebriamo è espressione anche di questo desiderio di vita nuova. Cristo che risorge, dopo aver passato giorni agli inferi, mi assicura che posso passare dagli inferi al Cielo, dalla colpa al perdono, dalla morte alla vita. Anche Paolo rafforza questa certezza: “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede.”
C’è nel mondo – al contrario di quanto si creda! – un grande desiderio di unità, di fratellanza universale, di un nuovo stile di vita, di aiuto reciproco, di fiducia in chi ci sta accanto, di capacità di misurare le cose per quello che realmente valgono e non per quello che vengono sbandierate, di stupore per la bellezza del lago increspato o per il verde di un pascolo. Stiamo, al contrario, naufragando in un mare piatto, senza onde, nelle piccinerie delle beghe localistiche, nell’esaltazione dei particolarismi, nell’individualismo sfrenato, nel relativismo, nelle lotte di potere. Sento anch’io, come tanti altri uomini, desiderio di emozione per il bene compiuto, di entusiasmo per una politica inedita, di tempo libero come occasione di crescita dello spirito a contatto con il creato e con la cultura e non di dissipazione, come quella che si alligna nei supermercati.
Dal sepolcro lasciato vuoto vorrei che uscissero con il Risorto cuori nuovi capaci di innamorarsi, folli com’è folle l’amore, ma non banali come li abbiamo ridotti con una sessualità avventata. Dalla pietra rotolata vorrei che scaturissero parole nuove capaci di dialogare e non di urlare, pensieri liberi, sciolti e non solo prodotti dell’odio, ragionamenti ebbri di confronto e non di rancore dettati dal capobastone. Sono queste parole vuote, insensate, incoerenti che mi disorientano.
Vorrei che il Risorto mi allontanasse dai discorsi contorti di certi uomini di partito, da quelli prudenti di molti preti, da quelli diplomatici delle organizzazioni internazionali. Vorrei che i loro discorsi fossero diritti e franchi, anche se sgradevoli, se occorre. Vorrei che nel presentare i loro risultati non calcolassero i vantaggi elettorali o non mi adulassero con le loro promesse.
Vorrei che il Risorto infondesse negli operatori della comunicazione il desiderio di trasmetterci le buone notizie quotidiane e non manipolassero la verità per far piombare l’umanità nella servitù dell’orgoglio e dell’egoismo. Sono sì angosciato dalla violenza che ogni giorno vedo scatenarsi tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, tra uomo e donna, ma sono anche crucciato per il rancore scatenato sulle nuove tecnologie, per le violenze perpetrate contro questo meraviglioso creato, per l’inquinamento legato alla nostra avidità, per il solo puro criterio del guadagno che guida ogni attività umana. Sono angustiato per i giovani asserviti da tante droghe, per i grandi imprenditori spesso asserviti da una droga non meno grave: quella del danaro, per i politici asserviti al potere e tentati alla corruzione.
Vorrei che il Risorto allontanasse la paura crescente, il tono aggressivo, le convinzioni individuali che, anziché essere motivo di confronto e di dialogo, dividono i cuori e intorpidiscono le menti. Ai demagoghi che potenziano la paura e si presentano come fautori di un nuovo mondo vorrei chiedere di essere più donne e uomini che sanno vedere nell’altro, soprattutto se diverso, un uomo come loro con quanto di profondamento umano c’è in loro. Non basta che si presentino come padri e madri amorevoli dei loro figli, devono avere un cuore di carne che sappia essere compassionevole anche per coloro che fuggono dalla miseria e dalla guerra.
A Pasqua molti di noi saranno uniti attorno alla tavola per festeggiare il “passaggio” dalla morte alla vita e gusteranno la letizia dello stare assieme. Vorrei che questa gioia del “far Pasqua” attorno ad un tavolo inondasse di convivialità tutte le genti e segnasse la fine di tutte le ingiustizie, gli orrori e del rancore da essi provocati. Sedersi a “far Pasqua” assieme è segno di unità, che non è appiattimento, ma diversità da ricondurre il tutto a un’armonia, che non è omologazione, ma unione di genti associate nel bandire ogni forma di morte per lasciar spazio alla vita, proprio come il prato che in questi giorni si fa manto verdissimo e compatto, dopo che il crudo inverno e la siccità l’avevano reso brullo e si era spaccato.
“Al di là della disperazione, bisogna incontrare la speranza. Quando si va alla fine della notte, si incontra una nuova aurora.” – ha scritto Georges Bernanos, lo scrittore che ha alimentato la mia giovinezza. E’ questa la speranza che si leva la mattina di Pasqua.
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