Anche a Varese, quasi ogni giorno, trova conferma la cosiddetta “teoria delle finestre rotte”, rilanciata a livello locale da “Semi di città”, la riflessione degli esperti di Varese 2.0 sullo stato della città giardino alla vigilia delle elezioni amministrative del 2016. In pratica significa che in ambito urbano bello chiama bello e degrado chiama degrado. Messa a punto dalla sociologia urbana negli anni ’60 –’70 del secolo scorso ha puntualmente trovato conferme e riconferme in esperimenti condotti nel primo decennio degli anni duemila nel Nord Europa. Furono scelti alcuni ambienti e ad arte trasformati in modo che sembrassero in preda all’incuria e soprattutto privi di ogni controllo: vennero rotte le finestre degli edifici, le facciate imbrattate e accumulati rifiuti. I ricercatori verificarono sul campo che, laddove l’ambiente era stato volutamente degradato, il peggioramento era diventato endemico.
Incuria e controllo sono dunque i principali ingredienti del degrado urbano che colloca il nostro paese ai primi posti della poco edificante classifica dell’incuria su scala europea. Non vi è infatti giorno che non giunga notizia di discariche abusive che spuntano qua e là come funghi in estate, di scarichi abusivi, di impianti di depurazione mal funzionanti o, peggio ancora, ultimati e mai entrati in funzione, di pezzi di centri storici e di quartieri periferici in abbandono dove, col degrado urbano, prospera la criminalità e un livello di convivenza civile insostenibile.
Come si diceva a questa preoccupante realtà, anche se per ora in misura minore, non sfugge certo il centro nord del paese, compresa ovviamente la “città giardino”. E’ di pochi giorni fa, ma i casi sono quasi quotidiani, la notizia di un maxi intervento di ripulitura dei boschi della Valsorda, ai margini di via Cà Bassa (zona Motorizzazione civile) dove corre una bretella stradale frequentatissima per Cantello e Gaggiolo, da parte di volontari. Su un sentiero hanno persino rinvenuto la carcassa di un’automobile oltre al consueto campionario “di lavandini, materassi, bagni, lavelli, pneumatici, frammenti di eternit” e altro ancora come hanno riferito le cronache locali. A pochi chilometri di distanza un caso analogo si è verificato a Induno Olona lungo la stradine che si inerpicano verso il borgo di Montallegro. Non si tratta ormai più di un’ emergenza, ma di un costume che tende a consolidarsi pericolosamente a macchia d’olio nonostante i centri raccolta funzionino bene come del resto la raccolta porta a porta su chiamata per rifiuti ingombranti, un servizio che ha comunque costi contenuti.
E’ evidente che gli sforzi generosi e utilissimi delle numerose associazioni di volontariato, nella loro ovvia episodicità, non bastano per arginare un fenomeno che accomuna singole persone ma anche aziende e aziendine che si ostinano a non considerare lo smaltimento dei rifiuti, spesso pericolosi, come un elemento dei costi di produzione e un adempimento dovuto nei confronti della collettività. Serve che gli enti locali e le aziende di igiene urbana si accordino per un maggiore coordinamento e un maggior controllo del territorio. Occorre, con il concorso dei cittadini più responsabili, lanciare una vera e propria guerra al degrado, da combattere a viso aperto su un territorio da considerare ormai come area vasta e non più come somma di comuni chiusi dentro i propri confini storici e impermeabili a quanto accade al vicino.
Per combatterla la tecnologia offre oggi strumenti fino a pochi anni fa impensabili come i rilevamenti fotografici a bassa quota con l’impiego di elicotteri, droni e quant’altro. Senza tuttavia tralasciare le classiche attività di perlustrazione delle zone più a rischio da parte delle forze dell’ordine. Perché, come ci diceva un maresciallo dei carabinieri di una località della Brianza all’epoca dei sequestri di persona – primi anni ’80 – “un territorio lo si controlla veramente solo se si è in grado di pettinarlo con quotidiana regolarità con pattuglie pronte ad ogni evenienza”. Quel lontano sottoufficiale era stato per molti anni fra i più stretti collaboratori del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato dalla mafia a Palermo il 3 settembre 1982.
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