Da giorni fa lo sciopero della fame Maurizio Bolognetti di Radio Radicale, l’emittente che rischia di chiudere in giugno se non interverrà il Parlamento. La Federazione italiana della stampa, il sindacato dei giornalisti, accusa il governo gialloverde di portare avanti una crociata ideologica che non ha nulla a che fare con il riordino dell’editoria. “Non passa giorno senza che il sottosegretario Vito Crimi ricordi che la convenzione sarà tagliata – protesta il presidente Giuseppe Giulietti – È una visione contraria al pluralismo dell’informazione. Radio Radicale assicura le dirette dei lavori delle commissioni parlamentari e del Consiglio superiore della magistratura che i cittadini perderanno”.
Il taglio dei fondi deciso da Palazzo Chigi colpisce le voci delle minoranze, non solo Radio Radicale ma anche il Manifesto, l’Avvenire, i giornali diocesani e le realtà locali, soffocando le voci che raccontano il territorio. Quando si chiude un piccolo giornale, accusa il sindacato, si oscura una comunità e si umilia, si ferisce la Costituzione che garantisce la libertà di espressione. Ed è solo uno dei tanti problemi della categoria. Come le querele-bavaglio che il Parlamento dovrebbe sentire il bisogno di scoraggiare, stabilendo che se qualcuno promuove un’azione giudiziaria infondata e milionaria nei confronti di un giornalista, deve pagare un’adeguata sanzione pecuniaria.
Il quotidiano dei vescovi Avvenire è tra le vittime predestinate. “Peccato che mentre si va a risparmiare 60 milioni in due anni se ne spendono 80 per la digitalizzazione della Rai, che lo ricordiamo, è sotto il controllo di forze di governo – dichiara il direttore Marco Tarquinio al sito Articolo 21 – si spostano soldi dalle aziende che fanno informazione ad un fondo a disposizione della presidenza del Consiglio che verrà gestito nella più totale discrezionalità. Cioè si passa dalla erogazione di contributi regolata con legge e in modo stringente e rigoroso, trasparente, a una modalità incontrollabile e affidata al governo, alla politica. Siamo di fronte ad un’elargizione in luogo di contributi regolati per legge”.
“Si è cominciato affermando che le aziende di Stato non dovevano più fare pubblicità sui giornali, per togliere ossigeno – aggiunge Tarquinio – Poi è arrivata la proposta di abolire l’Ordine dei Giornalisti e ora si è passati a svuotare il fondo per il pluralismo dell’informazione che va a colpire le piccole realtà, quelle che assicurano voce alle minoranze e ai territori. Tutto questo ha un costo perché sono a rischio diecimila posti di lavoro e il reddito di altrettante famiglie. Con l’idea che tutto deve essere regolato dal mercato, si colpisce la diversità dell’informazione. Ma ci sono realtà che non debbono essere regolate solo dal mercato perché rappresentano valori più alti e indispensabili alla democrazia”.
I media vivono un momento difficile. A cominciare dai giornalisti uccisi nel mondo mentre svolgono il loro lavoro (come l’italiano Antonio Megalizzi a Strasburgo). Tredici vittime dall’inizio dell’anno, uno alla settimana e nove omicidi su dieci restano impuniti. C’è un problema di sicurezza. Con tanti esempi in Italia: il giornalista Rai di Vicenza a cui tagliano le gomme mentre indaga sull’inquinamento di cromo esavalente. Gli sputi davanti al tribunale e gli insulti social alla cronista del giornale di Cremona che racconta un processo. I proiettili recapitati al Tgr di Udine per un servizio sul crimine, con tanto di foto cerchiata in rosso. La lettera intimidatoria inviata al Mattino di Padova.
“Saremo felici di essere smentiti – sospira Giulietti – ma se queste sono le premesse della riforma del settore editoriale gestita dal sottosegretario Vito Crimi non c’è da aspettarsi niente di positivo”. Al governo si contesta la visione che di recente ha portato a votare contro la direttiva europea sul diritto d’autore per impedire agli editori, ai giornalisti, ai professionisti di essere remunerati per il proprio lavoro. Una posizione incomprensibile, retrograda, lobbistica. La difesa a oltranza del privilegio dei giganti del web di utilizzare i contenuti dei giornali, la musica, la letteratura senza pagare un centesimo agli autori. Mentre gli stessi network raccolgono miliardi in pubblicità.
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