Ci avviciniamo alla santa Pasqua, una festa che ci richiama alle radici della civiltà cristiana, quella che non si accontenta di avere a sua disposizione un Dio accorto e benevolo, sempre pronto a tendere una mano quando l’uomo si dimentica di chi è, cosa fa, dove cammina, verso quale meta tende, ma che vuole trovare l’anello di congiunzione tra l’esistenza materiale e quella spirituale, tra il richiamo dell’edonismo e quello della sobrietà e della rinuncia, tra il pensiero e la fede.
Risorgere è ancora il punto, rappresenta l’aspetto più bello e inquietante di una natura che spesso giace sospesa tra il richiamo del presente e quello di un futuro in cui la dimensione umana diventa sempre più fragile, bisognosa di affetto e di cure, soprattutto di capire se quello che ha fatto e che fa sia stato e sia sufficientemente adatto per meritare un premio.
Nell’umanità di Dio la risurrezione occupa un posto privilegiato, davvero importante, in virtù della quale l’uomo può ancora cercare e trovare la possibilità di uscire dalle sabbie mobili della palude umana, quella che in molti casi non permette di dare un senso vero e profondo all’esistenza e alle sua aspettative. Morire, per permettere all’altro di vivere, è straordinario, qualcosa che solo un Dio immensamente attento alle sue creature avrebbe potuto fare. Il dono divino non è mai confinato, non è soggetto a costrizioni, privazioni, stimola, convince, gratifica, offre, è simbolo di un amore che va oltre le strutture e le sovrastrutture che impregnano di inquietante indeterminazione la vita umana.
Ancora una volta il cristianesimo apre le porte alla possibilità di amare, condividere, di uscire allo scoperto, offrendo come sempre la certezza che le vie dell’amore sono infinite e non guardano in faccia a nessuno, non fanno differenze. Non è dunque una questione di partiti o movimenti, di simpatie o di antipatie, di colori o di culture, di religioni o di potentati, la forza divina va sempre oltre, soffia sempre con l’energia travolgente di chi è convinto che esista un’alternativa al male, alla fragilità umana. Si tratta di mettere da parte l’arroganza, di voler riconquistare il significato pieno di quella vita con la quale abbiamo contemplato, pregato, gustato il sapore fine ed elegante della bellezza, della gioia di vivere, convinti che l’attimo della sofferenza preluda sempre alla conquista di una misura ottimale della coscienza individuale.
La Pasqua di Risurrezione porta con sé tutta l’inquietudine dello spirito umano, il dubbio che precede la certezza, la consapevolezza di un limite che non è mai fine a se stesso, ma che irrompe in attesa che la vita si riproponga nella sua essenza spirituale. È difficile immaginare che l’amore si consumi, che non possa addivenire alla sua pienezza, è difficile entrare nell’ordine di un nulla eterno dentro il quale non ci sia spazio per la speranza di un ricongiungimento con il principio di tutto.
Se il Natale è la nascita di Gesù, di un Dio che si fa uomo per dimostrare al mondo l’attenta tenerezza di un padre, la santa Pasqua è la riprova di quanto sia straordinaria la vita, soprattutto nella parte in cui dispiega tutta la sua disponibilità a incontrare l’amore di Cristo, un Cristo capace sempre di dimostrare quanto sia vicino alla condizione umana, soprattutto nel momento della solitudine di fronte al mistero. Risorgere è fondamentale per tutti noi che vogliamo cambiare, rinnovarci, diventare diversi da quelli che la routine ci costringe a essere, più attenti a quello che pensiamo, a quello che facciamo, più solerti nel ricomporre le nostre ambiguità e le nostre inadempienze, più attenti a ripensare, a confessare i nostri limiti, le nostre debolezze, la nostra voglia profonda di essere diversi, più attenti ad accogliere i valori della società cristiana, a ritrovare l’armonia in cui si fondono le speranze vere della vita. Riconoscere di voler cambiare, di fare in modo che la vita ritrovi la sua luce, quella vera e profonda che consolida l’unione con i principi vitali della creazione, è uno dei tanti afflati che ci legano al mistero pasquale, di cui ci sentiamo parte in causa.
Il Natale e la Pasqua riaprono il dialogo con l’eterno, ci riportano con i piedi per terra, ci tengono legati alla bellezza di quei valori che abbiamo appreso da genitori attenti e da sacerdoti impegnati anima e corpo nell’esultanza del mistero divino, ci fanno sentire di nuovo vivi, presenti a noi stessi e agli altri, persone vive di un mondo che è sempre alla ricerca di una perfezione, di un’idea diversa della vita, più vicina alla dimensione evangelica. Dopo le ire stizzose di una politica ambigua e insolente, dopo gli schiamazzi di una natura umana perennemente soggetta a varie forme di edonismo e di relativismo, con la santa Pasqua l’uomo ritrova il suo spazio, si appella alla sua interiorità, cerca di nuovo quelle risposte che rimettono in fila interrogativi e curiosità irrisolte.
Con la Pasqua l’uomo è chiamato a riflettere seriamente sulla sua essenza, a riconoscere il suo perenne bisogno di assistenza e soprattutto la necessità di affrontare la storia che lo attende con il massimo della generosità umana, affidando la propria povertà alla comprensione di quel Gesù di Nazareth che ha voluto dimostrare con la sua vita il grandissimo valore della fede cristiana.
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