Karl Mannheim (1893-1947)dal 1929 al 1933 insegna sociologia presso l’Università di Francoforte. Coll’affermarsi del nazismo lascia la Germania per l’Inghilterra e diviene docente presso la London School of Economics. Si richiama al neocriticismo,a Weber e ancor più a Marx. Si segnala nel campo della sociologia della conoscenza con opere quali “Ideologia e utopia (1929) e “Saggi sulla sociologia della conoscenza”, editi postumi nel 1952.
Mannheim indica come finalità della disciplina quella di individuare la relazione tra conoscenza e tipo di esistenza. Parte dalla teoria marxiana delle classi, sostenendo che l’individuo condivide con il proprio gruppo sia il modo di vedere la realtà, che le finalità e aspettative per il futuro. L’appartenenza di classe condiziona la visione del mondo, i sentimenti, lo stesso modo di pensare. Pure la conoscenza è determinata dalla collocazione sociale, risultando sempre parziale e di parte. Ogni sistema del sapere si configura come una ideologia, modo distorto e fazioso di interpretare la realtà, pur se abitualmente si tratta di processi non intenzionali. Ogni gruppo ha l’impressione e la convinzione che la conoscenza sia fondata oggettivamente.
Per cui Mannheim deriva la contrapposizione di fondo tra ideologia e utopia, avvicinandosi col saggio del 1929 alle problematiche della Scuola di Francoforte. Le classi dominanti esprimono concezioni del mondo statiche, avvertendo il cambiamento sociale come una minaccia e accentuando i fattori d’armonia e di stabilità, mentre occultano quelli di crisi e di trasformazione.
Ne discendono, inconsapevolmente, visioni della realtà mistificate e conservatrici, ideologie, nel senso negativo sottolineato da Marx. Al contrario, le classi emarginate si rivolgono al futuro, cogliendo elementi di trasformazione e di instabilità e producendo concezioni del reale critiche e progettuali.
Nel periodo londinese Mannheim attenua questa contrapposizione e si orienta verso la ricostruzione del modo, in cui la realtà appare ai diversi gruppi sociali secondo la prospettiva assunta inconsciamente, senza un deliberato intento mistificatorio. Nessuna opera di demistificazione è infatti possibile, in quanto ogni sapere presuppone una collocazione di classe. L’unica possibilità di superare questo condizionamento inevitabile sta nell’analisi oggettiva delle diverse ideologie, considerando la realtà da una pluralità di posizioni prospettiche.
Questa concezione del sapere è definita da Mannheim relazionismo; l’immagine della realtà è completa soltanto se i modi dell’interpretazione vengono considerati non singolarmente, bensì nella rete relazionale che stabiliscono.
Ritorna in questa tesi la posizione di Weber, che suggeriva la necessità di costruire modelli di una situazione accentuando di volta in volta alcuni aspetti e riorganizzando i dati intorno a variabili fondamentali diverse, non rendendo esclusivo ed applicabile ad ogni situazione un criterio interpretativo particolare. Pure weberiana è l’esigenza di interpretare la realtà dal punto di vista del soggetto, considerandola non come qualcosa di dato, ma come il risultato dell’angolo visuale assunto. Ne deriva progressivamente nel periodo londinese un’analisi dei sistemi di pensiero quali interpretazioni pluralistiche della realtà. La sociologia della conoscenza consegue così nella seconda accezione una vasta diffusione in ambito anglosassone.
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