Mentre inizia a circolare Non siamo nel caos — il libro recentemente pubblicato da Edizioni ARES in cui ho raccolto e ordinato un insieme di miei giudizi e osservazioni di questi ultimi anni – più di un lettore mi ha detto di apprezzarne il titolo come augurio e come testimonianza di ottimismo ad ogni costo, ma di dubitare della sua ragionevolezza.
A quanto ho già scritto in proposito nella mia nota di introduzione al libro aggiungo a questo punto ciò che ormai molti anni fa mi disse Oliver Sacks (1933-2015) il medico-scrittore divenuto celebre per il suo Risvegli, da cui venne poi tratto un famoso film con Robin Williams e Robert De Niro. Per incontrarlo e intervistarlo l’avevo raggiunto a Locarno, dove si trovava in occasione di un congresso. Tema del colloquio era ovviamente la sua esperienza di medico impegnato nello studio e nella cura di difficili e complesse malattie neurologiche: un’esperienza poi divenuta il grande tema della sua opera letteraria.
Conversavamo nel giardino affacciato sul Lago Maggiore dell’albergo di cui era ospite, di fronte a un lago mosso da un forte vento. Come tipicamente accade nel caso dei laghi prealpini, rimbalzando da una riva all’altra il moto ondoso provocava turbolenze che si accavallavano nelle più diverse direzioni. Essendo venuti a toccare la questione della complessità delle sindromi al centro dei suoi studi e dei suoi scritti, a un certo punto feci per parte mia uso del concetto di caos. “Stiamo attenti a non dire che qualcosa è un caos solo perché obbedisce a leggi così complesse da superare la nostra attuale capacità di analisi e di calcolo”, mi replicò subito Sacks. “Guardi ad esempio”, aggiunse, “questo lago in burrasca. Il sistema di spinte e controspinte che ne genera il moto è così complesso che attualmente non saremmo in grado di rilevarlo e di descriverlo. Oggi non sapremmo perciò elaborare il modello matematico che sarebbe necessario per costruire una macchina in grado di riprodurlo. Questo però non significa affatto che il suo moto sia caotico: significa soltanto che oggi non siamo ancora capaci di comprenderne l’ ordine”.
A partire dalla sua esperienza di scienziato “laico” Sacks confermava insomma con grande rigore un’idea tipicamente giudaico-cristiana: che cioè in ultima analisi la realtà è un cosmos, un ordine, e non un caos. È una cosa di cui non mi sono più dimenticato. A qualcuno la questione può sembrare puramente filosofica nel senso più astratto della parola. Invece non è così: le sue conseguenze pratiche sono enormi. Definire la realtà come un caos equivale a rassegnarsi a subirla senza comprenderla; quindi rinunciare anche alla speranza di modificarla in meglio. Essere invece convinti che quanto accade ha sempre dei comprensibili motivi diviene uno stimolo inestinguibile a procedere nella conoscenza e quindi in una relazione non passiva con tutto ciò che ci circonda.
Lasciando gli alti studi di Oliver Sacks e le acque in quel giorno tempestose del Lago Maggiore per venire al caso del nostro attuale frangente storico, vale tuttavia il medesimo criterio. Stiamo bene attenti insomma a non rassegnarci a giudicare un caos la situazione socio-politica in cui siamo. Così facendo ci impediremmo di capirla e di comprenderne i motivi. E quindi ci condanneremmo senza scampo a subirla passivamente.
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