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Parole

GENTILEZZA

MARGHERITA GIROMINI - 11/04/2019

gentilezzaBella l’intuizione di proporre agli aspiranti scrittori del Premio Chiara Giovani 2019 di dedicare i racconti di quest’anno al tema della gentilezza.

Sono certa che saremo sorpresi nello scoprire che esistono più giovani dall’animo sensibile di quanto si creda, ragazze e ragazzi che non temono di essere etichettati come buonisti. Ragazzi che negli anni di scuola senz’altro sono venuti in contatto con le pagine della letteratura che hanno celebrato questo sentimento.

Avranno letto e studiato il sonetto dantesco che recita “Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’ella altrui saluta”; e capito dalle spiegazioni dei professori che i due aggettivi, “onesta e gentile”, sono quasi sinonimi.

Quasi. L’onestà a quei tempi equivaleva alla nobiltà esteriore, fatta di gesti, di portamento e di aspetto; gentilezza era la nobiltà d’animo, una virtù spirituale e morale che ne includeva altre come modestia, magnanimità, delicatezza.

Vale la pena ricordare che “gentilezza” deriva da “gens”, stirpe: era soprattutto uno status sociale legato alla nobiltà di nascita o di sangue. Da non sovrapporre alla cortesia, qualità più vicina alla buona educazione e all’impeccabilità dei modi che a una qualità interiore.

Precisiamo: la gentilezza a cui ci riferiamo non è il contrario della maleducazione, anche se la sua accezione minimale non guasterebbe in tempi di “vaffa” e di testi rapper violenti e un po’ brutali.

La gentilezza si può accompagnare alla mitezza, uno stato di quiete dell’animo che non necessariamente rende deboli contro l’ingiustizia.

Qualche volta chi riesce ad essere gentile è insieme magnanimo, cioè aperto ed equilibrato nel considerare gli altri senza esaltare sé stesso. Una donna o un uomo gentile sanno essere generosi e compassionevoli, capaci di partecipare alla sofferenza degli altri.

Un animo gentile si accompagna alla dolcezza dei modi.

Vero è che oggi funzionano di più, e si guadagnano un’esagerata quantità di “like”, l’essere bruschi e il dire pane al pane, anche a costo di offendere l’altro, sul modello di qualche politico nostrano che ha fatto della ruvidezza la cifra della sua sincerità.

Agli occhi di molti la gentilezza, comunque la si declini, sembra un sentimento in declino, che genera addirittura una punta di sospetto: una persona generosa potrebbe esserlo per avere qualcosa in cambio, oppure “solo” per il gusto di manipolare un altro che appaia più indifeso o bisognoso di attenzioni.

La gentilezza suona anacronistica: chi la esprime non è furbo perché rischia di farsi “fregare” nella giungla della società odierna.

Richiede pazienza, altra qualità che ci fa restare indietro rispetto al mondo che corre. E di tempo per la pazienza ce n’è poco: per fermarsi, aspettare, dire e fare qualcosa non compreso nella tabella di marcia.

Noi attendiamo di leggere i racconti dei ragazzi che parteciperanno al Premio Chiara Giovani per capire come sarà intesa e declinata la loro idea di gentilezza.

Il giovane scrittore Paolo Di Stefano l’ha definita una forma di resistenza personale e sociale al peggio che rischia di sommergerci, come i rifiuti sommergono molte città: una resistenza democratica.

Per questo non svalutiamola nemmeno quando la si intenda semplicemente come buona educazione. Ne abbiamo bisogno, tutti.

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