Confessiamolo senza paura, senza vergogna: tutti abbiamo pensato – almeno una volta nella vita – che la morte, per forza, dovesse essere l’ultima parola. Il terribile appuntamento al quale nessuno potrà mancare.
È lei la megera che nasconde il nulla, la grande traditrice, la vera nemica, la porta spalancata sull’abisso, di cui è impossibile intravedere il fondo. Ammettiamo di aver avuto paura di esserne inghiottiti, fagocitati, dimenticati. Di finire nel niente, nell’assurdo gelido delle gelide galassie. Ci siamo ribellati, qualcuno ha persino bestemmiato, qualcun altro si è imposto di non pensarci.
I consigli, a riguardo, si sono sprecati: «Cogli l’attimo che viene; godi finché sei in tempo, prima che il tuo corpo ti tradisca…». Ma abbiamo dovuto constatare che l’attimo è più smaliziato di quanto si potesse credere e prima di essere afferrato è già svanito. Pensare di godere l’attimo è come bere acqua di mare. Non disseta.
Gettarsi sui piaceri e sulle cose pensando di trovarvi la gioia è come chiedere compassione ad un albero di mele. Alle cose non bisogna chiedere quel che non potranno dare. Queste mantengono sempre la parola data: non ci hanno mai promesso nulla.
Ci siamo accorti di essere arsi dalla sete di verità e di libertà; di giustizia e di eternità. Sete di amore e di senso. Abbiamo preso in considerazione anche altre proposte. A tutti gli amici del nostro pellegrinaggio terreno diciamo grazie. Ognuno ha dato quello che poteva. Ma ciò che si trova sul mercato dell’umano era troppo poco per poter mettere a tacere la nostra inquietudine.
Le domande continuavano a farci male. Martellavano di brutto. Le sentivamo pulsare nelle tempie. E pretendevano risposte vere. Confessiamolo, senza vergogna, senza inutile pudore: tutti ci siamo cascati. Anche noi, almeno una volta nella vita, ci siamo convinti che nascere per morire non è poi un grande affare.
“Ma chi mi donato questo cuore che non si accontenta mai? Chi è che rende insonni le mie notti? Da dove viene questo desiderio di immortalità? Dove è finita la mia mamma? E l’amico della mia infanzia? Vivono ancora? E dove?...”.
Poi ci fu un incontro, uno di quegli incontri che ti cambiano la vita. Abbiamo letto il Vangelo e fu come gettarsi a capofitto in un ruscello d’acqua in un’afosa giornata di agosto. E vi abbiamo trovato le risposte a mille nostre domande. E abbiamo scoperto la Chiesa che di quel libro conserva viva la memoria e si è assunta la fatica, il dovere, la gioia di passarlo agli altri. Di generazione in generazione, finché il tempo partorirà il tempo.
Chi ha incontrato il Signore della vita e della storia ne è diventato amico… È vero, anche se è difficile da dire.
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