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Souvenir

RISONANZE

ANNALISA MOTTA - 05/04/2019

risonanzaSto per entrare nel tunnel un tantino inquietante della risonanza magnetica, gli occhi ben serrati per evitare attacchi di claustrofobia. Come acquietare la mente e il cuore che galoppano – eh sì sono una fifona? Il rosario, per primo, così rivedo i volti degli amici e mi sento meno sola. E poi?

Ei fu. Siccome immobile dato il mortal sospiro stette la spoglia immemore…: dai, me la ricordo quasi tutta. E il povero Giacomino? D’in su la vetta della torre antica, passero solitario, alla campagna cantando vai finché non muore il giorno… Anche l’Adelchi mi piaceva: Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto, lenta le palme (ablativo assoluto, mi raccomando) e rorida di morte il bianco aspetto, giace la pia…

Carducci no, ma era giocoforza imparare I cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da san Guido in duplice filar, quasi in corsa, giganti giovinetti eccetera eccetera, fino alla nonna Lucia, da la cui bocca tra l’ondeggiar de ‘ candidi capelli la favella toscana ch’è sí sciocca nel manzonismo de gli stenterelli,canora discendea.

La macchina smette di ronzare – mi hanno persino infilato le cuffie per stare concentrata – e io sono ancora lì a rincorrere parole perse in qualche voluta del cervello e rime che non tornano.

Gran bella cosa sapere le poesie a memoria. E anche le filastrocche che ci leggevano mamma e papà, e le preghiere in latino che ci insegnavano le suore, con quel “festìna” all’inizio della corona che prometteva chissà quale tripudio, e invece vuol dire semplicemente Affrettati, muoviti, a venire in nostro aiuto.

La memoria vive e opera per conto suo, come un pilota automatico: lo imposti, lo fai partire, e quello va via liscio senza che tu muova un dito. Puoi anche pensare ad altro, mentre le parole scorrono veloci dalla bocca senza un inciampo, e trovarti alla fine di un poema senza nemmeno accorgertene, o alla fine del Credo, a messa, mentre stai programmando il menu di Pasqua portata dopo portata – forse dovrò confessarmi-.

È come avere una ruota di scorta sempre pronta, da tirar fuori al momento opportuno. E, nota bene, finché non la estrai dal suo alloggiamento, non sai com’è fatta se non a grandi linee. Cominci a recitare, e le parole si allineano da sole una in fila all’altra, quasi senza fatica, e ti ritrovi ad ascoltare te stessa come se fosse un’altra persona. Mi capitava anche agli esami in università, se davi la stura al tappo giusto, usciva a fiotti un vino eccellente.

Ma quanto lavoro, prima, per imbottigliarlo, questo vino prezioso. Avanti e indietro per il mio lunghissimo corridoio, con il libro dietro la schiena, da sbirciare ogni momento per riacciuffare il verso mancante o il vocabolo astruso. E ripetere, ripetere, ripetere… Eppure ce l’abbiamo fatta, tutti, a “mandare a memoria” un testo, come si diceva allora. E oggi ci ritroviamo con un forziere colmo di un enorme tesoro.

I miei nipoti sanno a memoria – a stento – le sigle dei cartoni e i testi dei cantanti trap (brutti, più che scandalosi).

Chissà se un domani, aprendo il loro scrigno, ci troveranno qualcosa?

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