Un prete tra i giovani. Tra gli anziani. Tra gente di fede e non di fede. Un rivoluzionario dello spirito, un conservatore dei valori fondanti della Chiesa, un integralista della tutela del pensiero libero. Questo era don Giuseppe Cacciami, scomparso qualche giorno fa, per mezzo secolo sacerdote sul Lago Maggiore, impegnato nella pastorale dei giovani, in opere sociali, nel giornalismo. Direttore dei settimanali della diocesi novarese e, fuori dei confini locali, fondatore dell’agenzia di stampa dei vescovi italiani, personalità di spicco dell’associazionismo mediatico cattolico, consigliere d’amministrazione del quotidiano l’Avvenire.
La sua benemerita invenzione è stata la Famiglia Studenti, nel cuore di Intra. Un sito in cui accogliere i ragazzi che non ne avevano d’altri, poi allargatosi ad alloggio per i visitatori da ogni dove e infine divenuto un polo congressuale. Oggi si chiama il Chiostro ed è la gemma culturale verbanese. Cacciami v’infuse il meglio di sé: l’impulso caritativo, l’intelligenza imprenditoriale, l’ecumenismo che va oltre le religioni. Lì dentro si sono sviluppate discussioni accese, confronti sanguigni, sfide nel segno della dialettica più scapigliata. Lì la politica ha conservato la sua alta dignità di sintesi delle idee e di sviluppo delle medesime nell’interesse collettivo. Lì nessuno s’è mai sentito ideologicamente straniero, e invece accettato, coinvolto, ascoltato qualunque fosse la sua differenziazione da chi l’ospitava.
Cacciami non è stato solo uomo del suo tempo. È stato un uomo di quelli che traversano i tempi. Testimoniava i valori del passato, li traduceva nella lingua acconcia al presente, aveva lo sguardo alzato sul futuro. Non un sacerdote modernista, ma un monsignore disposto ad ammodernarsi, a difendere le sue convinzioni senza lo scudo del pregiudizio, a cogliere nella più lontana diversità dell’interlocutore qualcosa (perché qualcosa c’è sempre) che lo avvicinasse a se stesso.
Era sicuro che nessuno nasce sotto una cattiva stella. E che invece molti non sanno leggere il firmamento. Perché non ne mettono a fuoco le sfumature, così lievi e sfuggenti; così significative e determinanti. Ha speso di conseguenza la vita a cercare, come diceva Gesù, ciò che è perduto. Ciò che appare perduto e però non lo è, sia pure contro ogni evidenza. Quest’anelito di ricerca e questa ricchezza di pietas ne han fatto l’interprete magistrale della reverenda missione, inducendolo a scommettere sempre sulla forza del bene. Vi è riuscito benissimo, e ne sono prova le generazioni di giovani cresciute sotto la sua guida e le generazioni di lettori succedutesi tra le pagine dei giornali da lui diretti.
Piemontese di Grignasco, segaligno come le montagne che fanno da sfondo al paese, generoso d’amabili ruvidezze, immaginifico e tagliente nella scrittura, predicatore schietto e ammaliante dal pulpito. Poi altro ancora, e il tutto avvolto nel mantello della semplicità e della trasparenza, sempre sulle sue spalle in qualunque stagione dell’esistenza. Disse un giorno in uno dei tanti conversari del mezzodì a un tavolo del Chiostro: la sera si diventa più accorti dopo la giornata che è trascorsa. Ma non lo si è mai abbastanza in vista di quella successiva. Era la citazione da un poeta tedesco che conoscevano lui e pochi altri, e stava ad avvertire sugli errori e sulle occasioni perdute che segnano il tempo d’ogni singola quotidianità. È una citazione che rimarrà tra di noi, eredità preziosa di un’avventura di opere, di preghiera e d’insegnamento già avocata a sé dalla storia.
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