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Molina Gallery

CAMPAGNA

PAOLA VIOTTO - 05/04/2019

spaventafilippi2Le opere novecentesche della Collezione Molina sono legate tra loro da un filo conduttore: il rapporto del loro autore con il territorio varesino.

Così è anche per Leonardo Spaventa Filippi, che usava firmarsi Leo. Nato a Milano nel 1912 si trasferì nel Varesotto, come altri milanesi, durante gli anni della seconda guerra mondiale, per poi stabilirsi definitivamente a Varese nel dopoguerra. In città svolse lungamente la sua attività nello studio di via Del Cairo e a Varese morì nel 1999. La sua produzione multiforme comprende paesaggi, nature morte e ritratti, di cui un bell’esempio è quello della madre che legge, conservato nei Musei Civici del Castello di Masnago.

Suo padre Silvio, giornalista e letterato, fu il primo direttore del Corriere dei Piccoli, il pioneristico settimanale per ragazzi che a partire dal 1908 introdusse in Italia il racconto a fumetti. Il giovane Leonardo ebbe modo di crescere in un ambiente famigliare culturalmente vivace, dove era possibile incontrare gli intellettuali e gli artisti di spicco dell’epoca. Ma a differenza del padre, della sorella Lia e della figlia Silvia, i suoi interessi non erano letterari ma piuttosto rivolti alle arti figurative.

Alla sua formazione contribuì la conoscenza di Carlo Bisi, storico illustratore del Corriere dei Piccoli ma soprattutto l’influenza di Donato Frisia, pittore lombardo legato al naturalismo di inizio secolo e aperto all’influenza del Postimpressionismo francese. Determinante fu però l’appoggio di Carlo Carrà, che negli anni Trenta aveva ormai da tempo abbandonato il Futurismo della sua giovinezza, e superata anche la fase metafisica si avviava a un nuovo senso della realtà e a un nuovo rapporto con il paesaggio. Proprio in quegli anni il giovane Spaventa Filippi stava iniziando a partecipare a mostre importanti presentando alla Biennale del 1936 una Natura morta e un paesaggio del Lago di Como. L’anno successivo fu uno degli invitati alla mostra del gruppo “Sette di Brera”, riuniti da Aldo Carpi alla Galleria Pesaro. In queste occasioni si fece notare dalla critica per il suo raffinato gusto per il colore.

La preziosità della gamma cromatica è proprio quello che colpisce sin dall’inizio nel paesaggio della Collezione Molina. È un’immagine apparentemente semplice, che ci presenta due casolari di campagna con quell’aspetto solido e disadorno che evoca immediatamente i paesaggi toscani tanto amati da Carrà. E a Carrà rimanda anche il senso architettonico che governa la composizione, fatta di linee rette e salde forme geometriche, a garantire l’intelaiatura indispensabile al dispiegarsi della varietà dei colori. In primo piano ci sono toni arancione e ocra a suggerire la terra, in alto il blu intenso di un cielo apparentemente senza nuvole.

Tra questi due colori fondamentali, caldo e freddo, che ricordano la lezione di Cézanne, si inserisce al centro la macchia chiara della scala che sale obliquamente lungo la parete della casa. Tutto il dipinto è giocato su queste tre tonalità, ma con una ricchezza di sfumature che l’occhio coglie un poco alla volta. Così tocchi di colori freddi animano le zolle in primo piano, e un alone di colore caldo circonda la chioma dell’albero a sinistra. L’intonaco bianco della casa si arricchisce di sfumature blu e mattone, mentre il cielo mostra la traccia di nuvole leggere, bianche e rosate. Così un pezzo di realtà a prima vista banale si rivela a poco a poco in tutta la sua complessa bellezza, proprio come accade quando si guarda ciò che ci circonda con occhi privi di fretta e di pregiudizio.

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